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Santi del 30 Aprile

Il mio Santo > I Santi di Aprile

*Sant'Adiutore di Vernon - Monaco Benedettino (30 Aprile)

XII secolo
Crociato normanno, poi eremita benedettino a Vernon-sur-Seine.
Martirologio Romano: A Vernon-sur-Seine in Francia, Sant’Adiutore, che, fatto prigioniero in guerra, fu torturato per la sua fede e, tornato in patria, si ritirò in una cella conducendo una vita di penitenza.
Nato a Vernon (Eure) nell'ultimo quarto del sec. XI e andato tra i cavalieri normanni alla prima crociata, fu fatto prigioniero dai Saraceni, dai quali solo dopo diciassette anni fu rimesso in libertà. Fu successivamente monaco dell'abbazia di Tiron (Eure).
Fattosi poi eremita, costruì una cappella dedicata a santa Maria Maddalena, attualmente nella parrocchia di Pressagny l'Orgueilleux, vicino a Vernon.
Morì il 30 aprile 1131, giorno in cui si celebra la sua festa.
La Vita di Adiutore fu redatta da Ugo III di Amiens, arcivescovo di Rouen. Il suo culto è diffuso nelle diocesi di Rouen, Èvreux e Chartre, come confessore e patrono della nobiltà di Normandia, e anche della città natale.

(Autore: Charles Lefebvre - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adiutore di Vernon, pregate per noi.

*Santi Amatore, Pietro e Ludovico di Cordova - Martiri (30 Aprile)

Amatore era un giovane prete di Tuni (Spagna) che, secondo Sant’ Eulogio di Cordova, assieme al padre e ai fratelli lasciò il suo paese natale per recarsi a Cordova, desiderando migliorare la sua formazione spirituale e intellettuale.
Ma ben presto si dedicò alla evangelizzazione dei maomettani che occupavano la città, aiutato nella sua opera dal monaco Pietro e da Ludovico, fratello di Paolo Diacono, ambedue di Cordova.
Questa attività, però, fu ben presto stroncata dalle autorità musulmane, che misero a morte i tre predicatori il 30 aprile 855.
I corpi dei martiri, gettati nel fiume Guadalquivir, dopo alcuni giorni furono trovati sulla riva, e venne data loro pia sepoltura. Pietro fu sepolto nel monastero di S. Salvatore, detto Pena de la Miel, alle porte di Cordova, Ludovico nella città di Palma e Amatore fu riportato nel suo paese natale, che da allora, in memoria del Santo, si chiamò Martos, probabile alterazione del nome Amatore.
Secondo un'altra versione, invece, il corpo di Amatore non fu mai ritrovato.

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, Santi martiri Amatore, sacerdote, Pietro, monaco, e Ludovico, che, durante la persecuzione dei Mori, furono crudelmente uccisi per non aver smesso di predicare apertamente il Vangelo di Cristo.
Le informazioni sulla vita di Sant'Amatore sono scarse e si legano indissolubilmente alle notizie storico-agiografiche dei 58 martiri di Cordova che conquistarono la palma del martirio tra l’851 e l’859. Tali martirii furono indicati in passato nel “Movimento dei Martiri volontari di Cordova”.
Nel 711 i musulmani invasero la Spagna meridionale subentrando al Regno Visigoto. I conquistatori videro presto nel Cristianesimo un movimento sfavorevole ed iniziarono a far proselitismo con le armi, con ingiuste e pesanti tassazioni ed infine manipolando la cultura e la dottrina trasmessa dalla Chiesa di Roma e dall’ ormai decaduto Impero Romano d’Occidente. Proposero insomma una massiccia islamizzazione a cui alcuni cristiani aderirono senza problemi professandosi musulmani per evitare il pagamento delle tasse o per progredire socialmente:
questi si chiamarono “muladìes”. Altri invece nella Cordova del IX secolo si ribellarono a queste condizioni, dando vita a quella classe sociale detta dei “mozarabi”.
Essi avevano una propria organizzazione sociale e culturale, vivevano nel centro delle città onde evitare contatti con gli eserciti cristiani e praticavano la religione dei loro avi, il cristianesimo. Tra questi mozarabi spiccano i nostri Martiri che furono capeggiati dal santo Vescovo Eulogio (anch’egli morirà martire l’11 marzo 859), da Alvaro di Cordova e dall’Abate Sanson.
Nel risveglio culturale della Spagna del XVII secolo, emersero alcuni scritti che sono stati attribuiti al dotto Sant’Eulogio. Egli fu il narratore dei martirii avvenuti nel IX secolo e ci ha lasciato alcune opere da cui sono state riscoperte figure di santità eminenti e sino ad allora dimenticate e non venerate. I Martiri di cui ci narra Eulogio furono considerati subito Santi per acclamazione da tutto il popolo dei credenti, ed in seguito molti furono inclusi nel Martirologio Romano. Le opere di Eulogio sono: il Documento martiriale, l’Apologia dei Martiri, le Epistole, la Passione dei Santi Martiri Giorgio monaco, Aurelio e Natalia, l’Inno in onore di Santa Eufemia ed infine il Memoriale dei Santi.
Da tale Memoriale, al XII capitolo del Terzo Libro, emerge in poche righe la vera vicenda umana di Sant’Amatore, San Pietro e San Luìs. Il culto di Sant’Amatore si diffuse naturalmente prima di tutto nella sua città natale l’antica Tuccitano. Questa ridente cittadina si trova nella regione spagnola dell’Andalusia in Provincia di Jaèn ed ora si chiama Martos. Il suo nome deriva da due vocaboli arabi “Mare” che significa roccia e “Tuc” radice del nome antico della città, significherebbe quindi Roccia di Tuccitano. Il culto e il nome di tale Martire, sconosciuto sino al XVII secolo, si diffuse presto in Martos. Fu venerato in un eremitaggio tuttora dedicato a Santa Lucia, e nel XVIII secolo venne edificata una chiesa dalle semplici linee architettoniche intitolata a San Amador y San Ana. La chiesa fu in parte danneggiata agli inizi del XX secolo a causa della guerra civile. Fu riaperta al culto solo nel 1955, data in cui venne istituita come parrocchia e affidata alle solerti cure dei Frati Minori. Sant’Amatore, patrono e alcàlde perpetuo (cioè sindaco perpetuo) di Martos viene celebrato il 5 maggio in tutta la diocesi di Jaèn in quanto il 30 aprile si ricorda la festa di San Pio V . A Martos si svolge una suggestiva processione nella quale la statua del Santo, su un trono portato a spalla da circa sessanta devoti, raggiunge le principali vie della città e la Puerta del Sol dove la tradizione ha indicato, con poca probabilità tuttavia, la casa del Santo. I festeggiamenti sono curati dalla confraternita di Sant’Amatore ed hanno toccato il loro massimo splendore nel 2005 anno in cui ricorreva il 50° dell’istituzione della Parrocchia e il MCL anniversario del martirio del Santo.
Sant’Amatore è venerato come patrono anche nella cittadina di Cellamare in provincia di Bari. Il
suo culto nasce tra il 1670 e il 1676 durante il pontificato di Clemente X che donò al Principe di Cellamare e Duca di Giovinazzo, Domenico del Giudice, una reliquia di detto Santo. La presenza della reliquia è attestata nelle Visite Canoniche compiute dal vescovo di Bari sin dal lontano 1695 ed era conservata sull’altare del Santo nella Chiesa Matrice del paese. Si tratta di una tibia che è stata conservata in un reliquiario in ebano fino al 1957 quando è stata traslata nell’attuale reliquiario in ottone.
É improbabile tuttavia che questa reliquia sia appartenuta realmente al Santo di cui lo stesso Eulogio ci conferma che non fu mai ritrovato il corpo. Il dubbio veniva sollevato anche dallo storico Vincenzo Roppo nel suo Memorie storiche di Cellamare nel 1925. Egli fu il primo a rivelare la non autenticità della reliquia. Traduzioni maldestre, tuttavia, hanno voluto manipolare il latino di Eulogio per giustificare la presenza di detta reliquia a Cellamare. Non si può negare però che il culto, che da sempre è stato tributato a detta reliquia, abbia alimentato la devozione in generazioni e generazioni di cellamaresi. La prima immagine del Santo di cui si ha notizia è datata al 1811 ed era una tela che pendeva dalle pareti dell’antica Chiesa Matrice.
Oggi si venera un’elegante simulacro ligneo alla sinistra dell’altare maggiore ricoperto da un’artistica cotta e stola in lamina d’argento e realizzato nella prima metà del XX secolo in una delle botteghe di Ortisei grazie al contributo dei cellamaresi emigranti. Si celebra con solennità la festa del Santo nella prima domenica di maggio con la processione del simulacro e la consegna delle chiavi del paese; mentre il 30 aprile si ricorda la memoria liturgica con iniziative di carattere folcloristico e culturale. Con la stessa solennità il Santo è venerato dai cellamaresi residenti oltreoceano di Chicago (Illinois - USA).
Essi hanno fondato una “Società S. Amatore” e dal 1998 si ritrovano attorno alla statua del Patrono per celebrare la novena e la festa con la processione a maggio, e un “Dinner Dance” con pranzo e ballo nel mese di ottobre. Dal 2003 sono state avviate ricerche sulla figura del Santo suscitate dal dubbio della sua esistenza storica.
Nel 2005 grazie ad intensi rapporti con la città di Martos, patria del Santo, si è avuta la possibilità di approfondire la conoscenza di questa figura così antica e moderna di santità attraverso una mostra ed ampi echi della stampa locale. Si spera che il vincolo di fratellanza con i cittadini di Martos possa presto divenire saldo, e la vera devozione per questo comune intercessore possa renderci più cristiani e fedeli al Cristo come lo è stato Amatore.

(Autore: Antonio Filipponio - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Amatore, Pietro e Ludovico di Cordova, pregate per noi.

*Sant'Augulo - Vescovo (30 Aprile)

Martirologio Romano: A Viviers lungo il Rodano nel territorio della Neustria, in Francia, Sant’Áugulo, vescovo, che si ritiene abbia aperto in questa città il primo ospedale e liberato molti schiavi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Augulo, pregate per noi.

*Beato Benedetto da Urbino (Marco Passionei) - Dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini (30 Aprile)
Urbino, 13 settembre 1560 – Fossombrone, 30 aprile 1625
Sacerdote dell'ordine dei Frati Minori Cappuccini. studiò a Perugia e a Padova, entrò nel convento di Fano e fu poi compagno di san Lorenzo da Brindisi in Boemia nel 1599.
Fu beatificato nel 1867. Festa, a Urbino, il 9 giugno.

Martirologio Romano: A Fossombrone nelle Marche, Beato Benedetto da Urbino, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che fu compagno di San Lorenzo da Brindisi nella predicazione tra gli hussiti e i luterani.
Marco Passionei, settimo di undici figli della nobile famiglia di Domenico Passionei e Maddalena Cibo. Dopo la laurea in Diritto civile ed ecclesiastico a Padova, fu avviato alla vita di corte
romana del card. Pier Giravamo Albani, che gli risultò disgustosa.
Non fu facile ottenere dai parenti e dagli stessi frati il permesso di farsi Cappuccino, una volta ottenuto fu ammesso nel noviziato di Santa Cristina in Fano, ma la fragile salute fece si che i frati lo costrinsero a lasciare dopo pochi mesi Fano per il convento di Fossombrone.
Ordinato sacerdote si diede con slancio alla predicazione, attraendo i fedeli per lo spirito di preghiera, per l'ilarità dell'animo e la povertà.
Nel 1600 fu inviato insieme al drappello missionario guidato da S. Lorenzo da Brindisi, verso la Boemia dove visse per tre anni e dovette sopportare molte ingiurie da parte degli eretici.
Partito per predicare la Quaresima a Saccocorvaro, durante il viaggio dovette fermarsi a Urbania, dopo una decina di prediche dovette rinunciare, subì un'ennesima operazione che lo ridusse in fin di vita.
Morì il 30 aprile 1625 a 65 anni di età e 41 di vita religiosa. Fu beatificato da Papa Pio IX il 10 febbraio 1867.

(Autore: Carmelo Randello – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Benedetto da Urbino, pregate per noi.

*Santi Diodoro e Rodopiano - Martiri (30 Aprile)

Martirologio Romano: Ad Afrodisia in Caria, nell’odierna Turchia, Santi Diodoro e Rodopiano, martiri, che, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, furono lapidati dai loro stessi concittadini.
Secondo il Martirologio Romano, al 3 maggio, Diodoro (prete?) e Rodopiano, diacono, sarebbero stati lapidati dai loro concittadini durante la persecuzione di Diocleziano ad Afrodisiade, in Caria, all'inizio del sec. IV. A. Poncelet ha pubblicato, seguendo un ms. della Biblioteca di Rouen, la versione latina di una perduta passio greca di Diodoro e Rodopiano, studiando, secondo le differenti fonti che riferiscono questo martirio, le differenze di nome, sia dei martiri, sia dei luoghi, di data e di epoche.
Di fronte a una notevole diversità di notizie, quella del Martirologio Romano appare tutt'altro che certa. Nel Sinassario bizantino il martirio di Diodoro e Rodopiano è commemorato di solito al 29 aprile, ma alcuni codici portano la celebrazione al 21 e 30 aprile o al 3 maggio.  
Il Poncelet pensa che la data più sicura sia il 30 aprile, essendo attestata dal Martirologio Siriaco del IV sec.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Diodoro e Rodopiano, pregate per noi.

*Beato Domenico Plani - Sacerdote e Martire (30 Aprile)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Albanesi" (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) 5 novembre
Shiroka, Albania, 21 gennaio 1891 – Scutari, Albania, 30 aprile 1948

Don Dedë Plani, sacerdote della diocesi di Scutari-Pult, esercitò il ministero sacerdotale in vari villaggi. Devoto e religioso, aiutava molto i poveri e si dedicava completamente ai suoi fedeli. Come altri sacerdoti religiosi e diocesani albanesi, venne processato e torturato a lungo.
Morì nel carcere di Scutari il 30 aprile 1948, per le conseguenze delle torture subite. Insieme ad altri diciannove sacerdoti diocesani, è stato inserito nell’elenco dei 38 martiri capeggiati da monsignor Vincenç Prennushi, beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari.
Dedë Plani nacque a Shiroka, un villaggio vicino a Scutari, il 21 gennaio 1891. Compì i primi studi e il Liceo a Scutari, nel Pontificio Seminario e nel Collegio Saveriano dei Gesuiti, mentre frequentò gli studi universitari di filosofia e teologia a Innsbruck in Austria.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, tornò in patria. Fu parroco in diverse parrocchie della diocesi di Pult, nei villaggi di Gimaj e Pog, e nella diocesi di Scutari, a Rrogam e a Shiroka. Dai
resoconti dei suoi fedeli è possibile delineare un suo ritratto: «Era un uomo sapiente, svelto, forte e robusto», ha sottolineato un testimone.
Un altro suo parrocchiano di Shiroka, oramai anziano, così ha narrato le sue qualità e il suo martirio: «Io sottoscritto, Balto Kola, depongo per don Dedë Plani. Ho 81 anni, sono nato e cresciuto a Shiroka.
Don Dedë Plani l’ho conosciuto non solo dalla liturgia domenicale in chiesa, ma anche da vicino. Era dedito all’attività religiosa, con gran devozione, ma la sua attività di ministro di Dio non si limitava all’altare.
Allo stesso modo aiutava i molto i poveri, e non negava mai il servizio a tutti, ed era radicato fortemente nella fede cristiana. Ma la sua dedizione completa a Cristo la testimoniò soprattutto all’istruttoria a Scutari.
I comunisti hanno usato varie torture con lo scopo di piegarlo ad ammettere le accuse, ma lui non si arrese e non accettò nessuna delle accuse e nessuna calunnia».
Degli ultimi giorni e della morte, continua a raccontare una sua cugina: «Dalle torture che subiva, anche quel poco cibo che poteva ricevere dai famigliari nei giorni stabiliti, cominciò a restituirlo indietro.
La sua situazione di salute peggiorava di giorno in giorno, ma lui era deciso a non ammettere nulla».
«Quando sua madre», dice un’altra testimone, «ormai anziana, andava a prendere il recipiente del cibo, dopo averlo svuotato, trovò scritto in fondo: "Mi torturano in modo disumano; sono così massacrato che presto morirò"». Infatti così accadde: morì il 30 aprile 1948 nel carcere di Scutari, durante le torture.
Insieme ad altri diciannove sacerdoti diocesani, don Dedë Plani è stato inserito nell’elenco dei 38 martiri capeggiati da monsignor Vincenç Prennushi, beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Domenico Plani, pregate per noi.

*San Donato di Evorea - Vescovo (30 Aprile)
Martirologio Romano: A Paramýthia in Epiro, nell’odierna Grecia, San Donato, vescovo, che al tempo dell’imperatore Teodosio rifulse di insigne santità.
Visse al tempo di Teodosio (gli fu, anzi, erroneamente attribuito l'onore di averlo battezzato) e rifulse per santità.
I suoi Atti, però, vennero frammischiati con quelli di san Donato d'Arezzo, cosicché è impossibile precisare molti dettagli. Con tutto ciò sembra doversi ritenere che, mentre gli Atti fanno di san
Donato d'Arezzo un martire, Donato di Evorea non è celebrato come tale, ma come grande taumaturgo.
A questo proposito si legge una testimonianza di Sozomeno: "Eodem tempore in diversi orbi partibus multi inter episcopos enituerunt. Ex his fuit Donatus, Euroeae in Epiro episcopus: quem cum alai multa ammirabili perpetrasse, ius lochi incolse testantur, tum illud precipue quod in draconis interfectione gesti".
Il dragone, che divorava il bestiame nei dintorni, sarebbe stato vinto e ucciso dal santo con un segno di croce. Sozomeno ricorda anche che un giorno, Donato, stanco di viaggiare e assetato, vedendo la regione arida, si rivolse a Dio e poi, scavando in terra con la mano, fece scaturire una abbondante vena d'acqua in una località presso la quale sorse poi la chiesa in suo onore. "Huic Donato sepulcrum est illustri ecclesia, qua ab ipso cognome accepit. Iuxta ecclesiam fon est uberrimus, quem Deus precibus ius annuens, illic edidit, cum antea non esset. Erat enim is focus prorsus aridus".
Nel Martirologio Romano è ricordato al 30 aprile, ma il Baronio, considerandolo erroneamente un personaggio diverso, lo ricorda nuovamente al 29 ottobre; l'occasione gli fu offerta dalla lettera scritta da san Gregorio Magno ad Alcisone, vescovo dell'isola di Corcira (Corfù), affinché costui permettesse ai sacerdoti nella città di Evorea di collocare nella chiesa di San Giovanni, posta in Cassiope, le reliquie del Santo.
Nei sinassari greci Donato è ricordato al 30 aprile, ma se ne fa qualche menzione pure nel mese di agosto. Donato morì verso il 387 e divenne patrono dell'antico Epiro. A lui l'imperatore Giustiniano dedicò due sue fortezze; si dice che le sue reliquie furono portate nel convento di Nostra Signora nell'isola di Murano, vicino a Venezia.

(Autore: Pietro Bertocchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Donato di Evorea, pregate per noi.

*Sant'Earconvaldo - Vescovo (30 Aprile)
+ 30 aprile 693
Martirologio Romano:
A Barking in Inghilterra, transito di Sant’Erconvaldo, vescovo, che fondò due monasteri, l’uno maschile, da lui stesso governato, l’altro femminile, guidato da sua sorella Santa Etelburga.
Secondo Beda il Venerabile, grande storico ecclesiastico in Gran Bretagna, fu l’arcivescovo San Teodoro di Canterbury a designare nel 675 proprio Earconvaldo quale vescovo dei sassoni orientali, ponendo a Londra la sede episcpale, “uomo che visse in perfetta santità sia quando era vescovo, sia
prima di esserlo, come tuttora testimoniano prodigi celesti”: i malati infatti guarivano miracolosamente se posti a contatto della lettiga sulla quale aveva viaggiato il vescovo, mentre altri venivano curati con schegge di elgno derivate dalla lettiga stessa.
La tradizione considera Earconvaldo di stirpe reale ed il suo stesso nome confermerebbe l’appartenenza alla real casa del Kent. Sicurametne era abbastanza ricco da permettersi la fondazione di ben due monasteri ancor prima di assumere la carica episcopale.
Uno di questi, maschile, era sito a Chertsey nel Surrey, mentre l’altro, doppio, sorgeva a Barking nell’Essex, ove fu badessa sua sorella Santa Etelburga.
Durante il episcopato aiutò a riappacificare San Teodoro e San Vilfrido, promosse l’ampliamento della cattedrale di San Paolo e la sua influenza convinse parecchi benefattori a donare vaste porzioni di terra alla Chiesa.
Si narra che seppe dare al cristianesimo “basi solide in una diocesi famosa per le ricadute nel peccato” e fu lui stesso a consigliare il re Ine del Wessex nella stesura del fondamentale codice legale. É evidente che sotto la guida di questo santo pastore la Chiesa di Londra e più in generale dell’Inghilterra.
Alla sua morte, avvenuta il 30 aprile 693 probabilmente a Barking, le suore del posto reclamarono le sue spoglie, ma infine furono comunque sepolte nella cattedrale di San Paolo. Dal 1148 le sue reliquie furono poste sotto l’altar maggiore e nel 1326 furono nuovamente ricollocate in un nuovo reliquiario.
Numerosi miracoli avvennero per intercessione del santo vescovo, che fu eletto nel Medio Evo celeste patrono di Londra.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Earconvaldo, pregate per noi.

*Sant'Eutropio di Saintes - Vescovo e Martire (30 Aprile)
III sec.

Martirologio Romano: A Saintes nella regione dell’Aquitania, in Francia, Sant’Eutropio, primo vescovo di questa città, che si dice sia stato mandato in Francia dal Romano Pontefice.
Eutropio (fr. Eutrope, Estropi, Estroupiet, Ytrope) non è da confondere con l'abate di Saintes suo omonimo.
I testi letterari che ci parlano di Eutropio fanno di lui il primo vescovo di Saintes, contemporaneo di Dionigi e inviato in Gallia dal papa san Clemente nel secolo I. In realtà il suo episcopato daterebbe piuttosto dalla fine del secolo III.
Il culto di Eutropio ricevette un impulso decisivo nel secolo VI, quando, racconta san Gregorio di
Tours, il vescovo Palladio (573-600) trasferì le reliquie del santo nella basilica che aveva costruito in suo onore.
Queste reliquie provenivano dalla basilica suburbana restaurata verso il 567 dal vescovo di Bordeaux, Leonzio.
La traccia di un colpo di ascia sul cranio fu per i contemporanei l’attestato del martirio che d’altra parte confermava un'apparizione del santo.
Da allora il culto si estese nella Saintonge, nella Guyenne e anche al di là, perché la tomba di Eutropio costituì per i pellegrini una tappa sulla via di san Giacomo di Compostella.
La passio di Eutropio non è che una compilazione di altri testi fra cui la passio di san Dionigi e quella degli apostoli Simone e Giuda. Alcune ossa, portate a Vendòme, e il capo, per un po’ di tempo rimasto a Bordeaux, sfuggirono alla distruzione dei protestanti nel secolo XVI.
Le trasformazioni del nome del santo nel linguaggio popolare hanno fatto di lui ora il guaritore degli storpi, ora quello degli idropici, mentre la traccia del colpo d’ascia rinvenuta sul suo capo spiega perché egli fu invocato contro il mal di testa. "Quando si è fatto Eutropio medico degli idropici io credo che si è confuso Eutrope con hydrope". Diceva Enrico Estienne (morto nel 1598) nella sua Apologie pour Hérodote.
Il sigillo della Confraternita di Eutropio nella chiesa di San Gervasio, a Parigi, rappresentava un vescovo benedicente un idropico.
I contadini del Berry l'invocavano anche per avere "oeufs de trop!" La chiesa di Pontaubert, presso Avallon, possiede una statua in pietra di Eutropio ed una vetrata del 1536 è consacrata a lui nella cattedrale di Montreal (Yonne).
La festa si celebra il 30 aprile, data dell'iscrizione nei martirologi.

(Autore: Jacques Houssain – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eutropio di Saintes, pregate per noi.

*San Forannan di Waulsort - Abate Benedettino (30 Aprile)
m. 982
Era un vescovo irlandese che lasciò il suo paese natale e, giunto all'abbazia benedettina di Waulsort sulla Mosa, entrò come monaco nella comunità e nel 962 ne divenne abate.
Passò qualche tempo a Gorze per studiare la regola monastica instauratavi da San Giovanni (di Gorze) con l'intenzione di introdurla anche a Waulsort, cosa che fece con grande successo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Forannan di Waulsort, pregate per noi.

*San Giuseppe Benedetto Cottolengo - Sacerdote (30 Aprile)
Bra, Cuneo, 3 maggio 1786 – Chieri, Torino, 30 aprile 1842
Portato fin da piccolo verso i bisognosi, divenuto sacerdote a Torino, aprì nella regione di Valdocco le Piccole Case della Divina Provvidenza, prima per i malati rifiutati da tutti, poi per “famiglie“ di handicappati, orfani, ragazze in pericolo e invalidi.
Le Piccole Case , oltre a dare rifugio e assistenza materiale, tendevano a costruire una identità umana e cristiana nelle persone completamente emarginate.
Con Giuseppe nacquero i preti della Santissima Trinità, varie famiglie di suore, i fratelli di S. Vincenzo, il seminario dei Tommasini.
Apostolo, asceta, penitente, mistico, devotissimo alla Madonna, egli portò nelle sue case una vita spirituale intensa. Fu formatore di vita religiosa e precursore dell’assistenza ospedaliera.

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Martirologio Romano: A Chieri presso Torino, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, sacerdote, che, confidando nel solo aiuto della divina Provvidenza, aprì una casa in cui si adoperò nell’accoglienza di poveri, infermi ed emarginati di ogni genere.
La parola “Cottolengo” è solita evocare nell’immaginario collettivo più una struttura gestita da suore ospitante ammalati gravi, piuttosto che rimandare alla figura del Santo fondatore, la cui vicenda terrena cade spesso in secondo piano e vuole dunque essere oggetto della presente scheda agiografica.
Giuseppe Benedetto Cottolengonacque a Bra (Cuneo) il 3 maggio 1786, primogenito di dodici fratelli, da un modesto esattore del pubblico erario.
Dalla mamma ereditò quel tenero amore per i poveri e i malati che lo contraddistinse per l’intera vita. Quando il figlio aveva cinque anni ella lo sorprese a misurare le pareti di una stanza, che egli già sognava di poter riempire di letti per i sofferenti non appena ne avesse avute le possibilità.
Crebbe con una corporatura assai gracile ed a scuola, dove assolutamente non eccelleva, solo dopo una novena a San Tommaso d’Aquino poté divenire uno dei primi della classe.
All’età di soli dieci anni Giuseppe si propose di vivere alla presenza di Dio e di farsi Santo. Trasportato da un innato fervore religioso, di giorno era solito animare la casa con i canti imparati in parrocchia ed alla sera, al suono di un ferro di cucina, richiamava i familiari a pregare dinanzi al quadro della Vergine Maria.
Già terziario francescano, il 2 ottobre 1802 il Cottolengo ricevette la veste talare dalle mani del parroco.
Nel 1805 entrò nel seminario di Asti, che però dopo due anni fu chiuso ed il Santo fu costretto a continuare in famiglia gli studi sino all’ordinazione presbiterale che gli fu conferita l’8 giugno 1811.
Rendendosi conto della deficienza degli studi teologici condotti, in particolare in occasione delle confessioni a Bra ed a Corneliano d’Alba, dove era stato inviato come vicecurato, chiese con insistenza di poter integrare i suoi studi a Torino.
Nel 1816 finalmente conseguì così il dottorato in teologia.
Dopo aver svolto ancora per due anni il suo ministero nella terra natia, nel 1818 ricevette la nomina a canonico della basilica torinese del Corpus Domini, dove per nove anni profuse instancabilmente le sue forze, supplicando il sacrista di lasciare in pace i canonici più anziani: “Io sono giovane, diceva, chiamate me per ogni occorrenza. Che ci sto qui a fare se non mi occupo?”.
Divenne così ben presto l’apostolo della confessione, il consolatore dei malati ed il soccorritore dei poveri. A questi ultimi donava tutto quanto gli fosse possibile: i compensi delle predicazioni, le elemosine delle Messe, i regali ricevuti dalla famiglia e le elargizioni dei bottegai. Per
sollevare dalla miseria il più grande numero possibile di indigenti il Cottolengo persino d’inverno faceva economia nel proprio abbigliamento e nel riscaldamento.
I torinesi del tempo presero a chiamarlo il “canonico buono”, ma il santo preferiva continuare a considerarsi un contadino di Bra incapace di tutto se non che di piantare cavoli.
Il Cottolengo percepiva però che quella non era veramente la sua vocazione ed ipotizzò di essere chiamato alla vita religiosa, ma il suo confessore Padre Fontana, oratoriano di San Filippo Neri, all’inizio del 1826 gli disse apertamente: “Voi non sarete né Filippino, né claustrale, ma un povero sacerdote di Torino, perché Dio vuole servirsi di voi per opere di sua gloria”. Dopo aver letto la vita di San Vincenzo de’ Paoli, il Cottolengo comprese allora che la sua vera strada era quella della carità.
La definitiva vocazione gli fu svelata da un pietoso episodio nel settembre 1827, quando la famiglia Gonet, con tre bambini, transitante da Milano a Lione, aveva trovato ristoro in un’osteria della parrocchia del Corpus Domini. La moglie si disponeva già a ripartire, quando, colta da grave malore, morì assistita dal “Canonico buono” dopo essere stata respinta dall’ospedale dei tubercolotici poiché incinta e dall’ospizio di maternità in quanto malata.
Il santo pensò allora di istituire un ricovero che potessero spalancare le porte ad ogni sorta di infelici. L’opera prese il via il 17 gennaio 1828 con quattro letti in alcune stanze affittate nella casa detta della Volta Rossa.
Non mancò di trovare forte opposizione tra i confratelli ed i parenti, ma a tutti Padre Fontana ripeteva: “Lasciatelo fare”.
I primi collaboratori furono il medico Lorenzo Granetti, il farmacista regio Paolo Anglesio e dodici visitatrici dei malati dette “Dame di Carità”, che riunì sotto la direzione della ricca vedova Marianna Nasi.
Quando a Torino nel 1831 scoppiò il colera, l’ospedaletto fu chiuso a causa del pericolo di contagi. Il Cottolengo, convinto che “i cavoli, perché prosperino, devono essere trapiantati”, comprò un casetta a Valdocco, proprio nella zona ove poco dopo sarebbe fiorite anche le opere fondate da Giulia di Barolo e San Giovanni Bosco, e vi si trasferì il 27 aprile 1832 con due suore ed un canceroso, adagiato su di un carretto trainato da un asinello.
Queste furono le umilissime origini della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Il vasto terreno, con l’aiuto di parecchi benefattori e specialmente del Cavalier Ferrero, si costellò ben presto di vari ospedaletti, asili e orfanotrofi.
L’unico valido mezzo per portare a compimento la grandiosa opera fu un’illimitata fiducia nella Provvidenza Divina, invocata con costante orazione, e nessuna diretta richiesta fu mai rivolta alla generosità dei torinesi o della corte. Per non far torto alla Provvidenza, il padre fondatore non volle saperne di contabilità o di rendiconti, profondamente convinto che “a chi straordinariamente confida, Dio straordinariamente provvede”.
Sulle sue labbra non risuonavano che espressioni del tipo “Avanti in Domino, Provvidenza e Deo gratis”.
Nel 1833 il re Carlo Alberto di Savoia eresse l’opera ad ente morale e nominò il Giuseppe Benedetto Cottolengo cavaliere dell’Ordine Mauriziano.
Il Santo accettò sentenziando: “Passino i doni ai miei poveri. Io ritengo la croce.
Provvidenza e croce sono due cose che vanno unite”. Al termine dell’anno era già pronto un primo grande ospedale da 200 posti letto, al quale ne seguì un altro per tutti i soggetti rifiutati dalla società. Egli stesso riceveva i malati alla porta a capo scoperto, per affidarli alle suore dicendo: “Sono doni di Dio. Siano le vostre pietre preziose”.
Al servizio di questa nascente cittadella della carità, il Cottolengo istituì nel 1833 le Suore Vincenzine; nel 1841 le Suore della Divina Pastora per curare la preparazione delle ricoverate ai sacramenti; nel 1839 le Suore Carmelitane Scalze dedite alla via contemplativa; nel 1840 le Suore del Suffragio per i lavori di cucito e le Suore Penitenti di Santa Taide per la conversione delle traviate; infine nel 1841 le Suore della Pietà per assistere i morenti.
Era solito ripetere alle sue più strette collaboratrici: “Presenza di Dio, occhi bassi, testa alta, abitino al collo e rosario al fianco.
Così, in mezzo ad un reggimento di soldati, sarete senza timore”. Per l’assistenza ai malati di sesso maschile istituì i “Fratelli di San Vincenzo”, per l’amministrazione dei sacramenti i “Sacerdoti della Santissima Trinità”, nonché il reparto giovanile dei “Tommasini”, cioè seminaristi aspiranti al sacerdozio. A tutti ripeteva spesso: “Non lasciatemi mai, a qualunque costo, la comunione quotidiana! Ciò che tiene in piedi la Piccola Casa sono le preghiere e la comunione”.
Infatti, quando era a corto di viveri o di soldi, il santo era solito inginocchiarsi ai piedi della Vergine ed ottenere così infallibilmente tutto quanto gli occorreva.
Gregorio XVI con un breve approvò l’operato del Cottolengo, ma il padre dei poveri non si montò la testa e continuò ad essere l’umile servo della Divina Provvidenza, sempre pronto a giocare con i più idioti, a trasportare fasci di legna o ceste di verdure, a fare le pulizie calzando zoccoli di legno e rivestito di una vecchia tonaca, restando nella sua ferma convinzione di essere soltanto un contadino capace di piantare cavoli.
Eppure Dio gli aveva addirittura concesso il dono di leggere nei cuori altrui, di prevedere il futuro e di conoscere anche le circostanze della propria morte.
Nel febbraio 1842 il santo passò diverse settimane a sbrigare affari che non parevano urgenti, dopodiché.
Poi visitò tutte le case che aveva fondato ed ovunque lasciò chiaramente intendere che quello era il suo ultimo addio. “Pregate per me, che sono alla fine dei miei giorni.
Vi benedico per l’ultima volta.
Ora non posso più nulla per la Piccola Casa, ma giunto in cielo pregherò e continuerò ad essere il vostro padre, e voi ricordate le parole che vi disse questo povero vecchio”.
Il 21 aprile 1842 affidò al Canonico Luigi Anglesio la direzione della sua opera per potersi ritirare presso il fratello, canonico nella collegiata di Chieri.
In tale città morì santamente il 30 aprile 1842 nel letto che dodici ani prima si era fatto preparare, dopo aver esclamato: “Mi sono rallegrato perché mi è stato detto: Andiamo nella casa del Signore”.
Il re Carlo Alberto, saputo della sua dipartita, rimpianse la perdita del grande amico.
Giuseppe Benedetto Cottolengo fu sepolto a Torino nella Piccola Casa, in una cappella della chiesa principale, dove riposa ancora oggi.
In seguito ai numerosi miracoli verificatisi per sua intercessione, il pontefice Benedetto XV lo beatificò il 28 aprile 1917 e Pio XI infine lo canonizzò il 19 marzo 1934.
Oltre alla commemorazione nel Martyrologium Romanum, calendario ufficiale della Chiesa Cattolica, il Santo Cottolengo per le sue peculiari opere caritatevoli ha meritato di essere citato nella prima lettera enciclica del Papa Benedetto XVI “Deus caritas est”.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Benedetto Cottolengo, pregate per noi.

*San Giuseppe Tuan - Sacerdote Domenicano, Martire  (30 aprile)

Scheda del gruppo a cui appartiene San Giuseppe Tuan:
"Santi Martiri Vietnamiti" (Andrea Dung Lac e 116 compagni) 24 novembre + Tonchino, Annam, Cocincina (Vietnam), dal 1745 al 1862
Trần Xá, Vietnam, 1821 circa - Hưng Yên, Vietnam, 30 aprile 1861

Martirologio Romano:
Nel villaggio di An Bái nel Tonchino, ora Viet Nam, San Giuseppe Tuan, Sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e Martire, che, arrestato su delazione per aver amministrato i sacramenti alla madre inferma, fu condannato alla decapitazione sotto l’imperatore Tu-Duc.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Tuan, pregate per noi.

*San Gualfardo Religioso - Camaldolese (30 Aprile)
Germania XI sec. – Verona, 30 aprile 1127
S
an Gualfardo, sellaio di origine germanica, si ritirò a vita eremitica presso Verona, ma poi fu accolto quale oblato dai monaci camaldolesi di San Salvatore della medesima città. Giunse ai più alti fastigi della contemplazione e della santità con l’orazione ininterrotta, le veglie, i digiuni, le astinenze, il tutto in una mirabile cornice di equilibrio, di modestia e di prudenza.
Operò numerosi prodigi. Morì presso Verona il 30 aprile 1127 ed in tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.

Martirologio Romano: A Verona, San Gualfardo, che, sellaio originario della Germania, dopo moltissimi anni passati in solitudine fu accolto in questa città dai monaci di San Salvatore.
Di origine germanica e di mestiere sellaio, San Gualfardo, obbedendo al suo desiderio interiore di
una vita tutta dedita a Dio, dopo aver trascorso qualche tempo a Verona, si ritirò in solitudine eremitica, come facevano tanti giovani uomini del Medioevo, in un luogo vicino all’Adige.
Sull’esempio di San Romedio, eremita nella Val di Non nel Trentino, trascorse in questo luogo solitario venti anni di nascondimento, poi alcuni barcaioli che navigavano sul fiume lo scoprirono, costringendolo così a trasferirsi a Verona presso la chiesa di S. Pietro.
Dopo un certo tempo, passò alla chiesa della SS. Trinità fuori le mura della città e finalmente fu accolto caritatevolmente come oblato, dai monaci camaldolesi di San Salvatore di Corteregia in Verona, coi quali rimase dieci anni fino alla morte.
Giunse ai più alti gradi della contemplazione e della santità, con la preghiera incessante, le veglie notturne, i digiuni, le penitenze; il tutto intessuto da equilibrio, serenità, modestia e prudenza, che riflettevano la pace con sé stesso e l’unione intima con Dio.
Un contemporaneo monaco, che fu autore della sua prima ‘Vita’, descrisse il fervore che San Gualfardo metteva nella santa conversazione con i fedeli e con i camaldolesi; inoltre parlò di molti miracoli che operò in vita e dopo morto.
Morì nel convento di Verona il 30 aprile 1127; i veronesi ne celebrano la festa il 1° maggio come protettore dei sellai, mentre l’Ordine Camaldolese e il Martirologio Romano, lo ricordano il 30 aprile, anniversario della sua nascita al cielo.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gualfardo Religioso, pregate per noi.

*San Guglielmo Southerne - Martire (30 Aprile)

Martirologio Romano: A Newcastle-on-Tyne in Inghilterra, Beato Guglielmo Southerne, sacerdote e martire, che, compiuti gli studi in Lituania, Spagna e a Douai, dopo essere stato ordinato sacerdote, si recò in Inghilterra e per questo fu condannato sotto il re Giacomo I all’atroce supplizio dell’impiccagione.
(Fonte:Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guglielmo Southerne, pregate per noi.

*Beata Ildegarda (Hildegarda) di Kempten - Regina (30 Aprile)
Thurgan (Svevia), sec. VIII – Metz, 30 aprile 783
Uno storico del IX secolo la classifica come “nobilissimam piissimamque reginam” (nobilissima piissima regina). Discendente da Goffredo duca di Allemagna e dell’alta nobiltà sveva, Hildegarda era figlia di Pabo conte del Thurgan (altri testi dicono di Ildebrando conte di Svevia). Era ancora un’adolescente quando Carlomagno, re dei Franchi, nel 771 la prese in sposa, subito dopo aver rotto il suo terzo matrimonio con la figlia di Desiderio re dei Longobardi, che d’altra parte non era approvato dal papa Stefano IV (768-772).
Fu esemplare nella vita cristiana, sia in famiglia che nella corte, ebbe nove figli dei quali tre morirono in tenera età; fu fedele compagna di Carlomagno, che accompagnò sempre nei suoi viaggi arrivando fino a Roma; risulta che fece una cospicua donazione all’abbazia di Saint-Arnoul di Metz, dove secondo la sua volontà fu sepolta alla sua morte, avvenuta il 30 aprile 783 a Metz, quando aveva circa trent’anni.
L’epitaffio sulla sua tomba, composto da Paolo Diacono (720-799), monaco benedettino, profondo conoscitore della storia di Metz, ne esalta la singolare bellezza della sua persona e soprattutto della sua anima. Parte delle sue reliquie furono trasferite nell’872 nell’abbazia di Kempten, sull’Iller in Svevia, posta tra il lago di Costanza e Monaco, i cui monaci la consideravano come loro fondatrice.
Nel 963 si procedette all’elevazione delle reliquie e da allora fu onorata come Beata. Una nuova ‘Vita’ della Beata Hildegarda fu compilata nel 1472 per disposizione di Giovanni di Werdenau, abate di Kempten e dedicata anche al figlio della regina l’imperatore Ludovico il Pio († 840), essa esalta la virtù della sovrana, narra della costruzione di vari monasteri, della sua predilezione per l’abbazia di Kempten, dove aveva fatto deporre le reliquie dei martiri Gordiano ed Epimaco e racconta delle numerose guarigioni verificatesi sulla sua tomba. La festa si celebra il 30 aprile.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Ildegarda di Kempten, pregate per noi.

*San Lorenzo di Novara - Vescovo e Martire (30 Aprile)
I preziosi dittici eburnei in cui sono riportati gli elenchi dei vescovi novaresi dei primi secoli, indicano al terzo posto il nome di Lorenzo, con la particolarità di quello della Cattedrale che, a differenza di quello della basilica di San Gaudenzio, non attribuisce tuttavia alla sua persona la qualifica di vescovo.
Una simile precisazione è probabilmente da collegarsi con la tradizione che, a partire dal tempo di Pietro III vescovo dal 993 al 1032, fece di Lorenzo un sacerdote martirizzato, insieme ai fanciulli che stava catechizzando, al tempo di Giuliano l'Apostata, ad opera di alcuni sacerdoti pagani. Tale idea venne definitivamente codificata nella stesura della «Passio Sancti Laurentii», finendo, però, per far completamente dimenticare la fisionomia di Lorenzo come terzo vescovo novarese. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Novara, San Lorenzo, sacerdote e martire, che aveva costruito un sacro fonte nel quale battezzava i piccoli di cui aveva curato l’istruzione; un giorno, dopo aver portato una grande folla di bambini a Dio mediante il battesimo, per mano di alcuni malvagi trovò il martirio insieme ai fanciulli da lui appena battezzati.
Dalle fonti documentarie oggi conosciute, la figura di Lorenzo di Novara emerge sotto un duplice aspetto: evangelizzatore e martire precedente il primo vescovo Gaudenzio, oppure terzo vescovo della città dopo Agabio.
I preziosi dittici eburnei in cui sono riportati gli elenchi dei vescovi novaresi dei primi secoli, indicano al terzo posto il nome di Lorenzo, con la particolarità di quello della Cattedrale che, a
differenza di quello della basilica di San Gaudenzio, non attribuisce tuttavia alla sua persona la qualifica di vescovo.
Una simile precisazione è probabilmente da collegarsi con la tradizione che, a partire dal tempo di Pietro III vescovo dal 993 al 1032, fece di Lorenzo un sacerdote martirizzato, insieme ai fanciulli che stava catechizzando, al tempo di Giuliano l’Apostata, ad opera di alcuni sacerdoti pagani.
Tale idea venne definitivamente codificata nella stesura della Passio S. Laurentii e nel racconto della Vita S. Gaudentii, entrando da allora a far parte della tradizione agiografica locale, finendo per far completamente dimenticare la fisionomia di Lorenzo come terzo vescovo novarese.
Centro del culto tributato a questo santo evangelizzatore fu, fino al momento della sua demolizione nel 1552, la basilica sorta sul luogo della sua sepoltura, oltre le mura della città nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria.
Nell’edificio, cui era annesso un convento benedettino era conservato il suo sepolcro, indicato col termine puteus che, a partire dal XVI secolo, erroneamente identificato con un pozzo, venne ritenuto il luogo in cui fu gettato il cadavere del presunto martire, da quel momento chiamato Lorenzo al pozzo, finendo per diventare un elemento immancabile nella sua iconografia.
Con la demolizione della basilica si è perso purtroppo molto materiale archeologico e documentario che avrebbe potuto aiutare a chiarire ulteriormente le vicende cultuali di Lorenzo, specialmente in rapporto alla metamorfosi della sua figura e all’origine della passio, composta probabilmente nella seconda metà del XI secolo.
Tale datazione indurrebbe ad escludere l’identificazione di Lorenzo con un martire del IV secolo, la cui memoria sarebbe certo emersa già in epoca precedente, considerando la grande venerazione di cui godettero i martiri locali in chiese limitrofe come Torino e Milano.
A Lorenzo vescovo sono attribuite tre omelie che costituiscono la più genuina testimonianza della sua opera evangelizzatrice e della sua sollecitudine di pastore: De Poenitentia, De Elemosyna, De Muliere Chananaea, opere che gli valsero nel medioevo l’appellativo di Mellifluo e di Dottore della Chiesa Novarese.
Il culto a questo Santo, nella sua fisionomia di prete e martire, si diffuse in diocesi a partire dal XVI secolo, specialmente dopo la conferma del culto ottenuta dal vescovo Bascapè, in seguito alla riforma di Pio V.
Nelle chiese, cappelle ed altari lui dedicati il santo è sempre presentato con l’abito talare o con i paramenti sacerdotali, accompagnato dai fanciulli che si credeva con lui uccisi, accanto ad un pozzo, come nella chiesa di Crevola Sesia, Sassiglioni di Vocca, Ordrovago di Cravagliana e Cosasca.
Anche nella città di Novara si è rispettata l’iconografia tradizionale, come si può vedere nello scurolo di San Gaudenzio, nel mosaico della cappella del Seminario e nell’altare della Cattedrale dove riposano oggi le sue reliquie.
Attualmente la memoria liturgica di San Lorenzo terzo vescovo, che gli antichi calendari e il Martyrologium Romanum fissano al 30 aprile, è celebrata in diocesi il 4 maggio.

(Autore: Damiano Pomi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lorenzo di Novara, pregate per noi.

*Beati Luigi Puell e 69 compagni - Martiri Mercedari (30 Aprile)

+ Montpellier, Francia, 1567
Nel convento mercedario di Sant’Eulalia in Montpellier (Francia), i Beati Luigi Puell e 69 compagni, lottarono per l’autorità del Romano Pontefice difendendo eroicamente la fede cattolica dai protestanti luteranensi e furono atrocemente uccisi dagli eretici Ugonotti nell’anno 1567.
Onorando l’Ordine e la Chiesa con il loro martirio, esultano in cielo per l’eternità.
L’Ordine li festeggia il 30 aprile.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Luigi Puell e 69 compagni, pregate per noi.

*Beata Maria dell’Incarnazione Guyart - Vedova e Fondatrice (30 Aprile)
Tours (Francia), 28 ottobre 1599 – Quebec (Canada), 30 aprile 1672
Martirologio Romano:
Nel Québec in Canada, Beata Maria dell’ Incarnazione Guyart Martin, che, madre di famiglia, dopo la morte del marito affidò il figlioletto alle cure della sorella e, fatta la professione religiosa tra le Orsoline, aprì una loro casa in Canada, compiendo molte opere insigni.
Maria Guyart nacque a Tours in Francia il 28 ottobre 1599, i genitori Fiorenzo Guyart e Giovanna Michelet erano panettieri, e educarono la figlia ad una vita austera e cristiana.
Pur avendo avuto già da piccola esperienze mistiche, verso i quindici anni, era il 1614, avvertì la vocazione religiosa; ma secondo le consuetudini del tempo, il padre scelse per lei il matrimonio e in obbedienza alla volontà paterna, Maria accettò.
Quindi nel 1617 a 18 anni, sposò Claudio Martin piccolo proprietario di un setificio; dopo due anni il 2 aprile 1619 nacque il figlio Claudio, ma la serenità della famiglia durò poco, perché il 10 ottobre dello stesso 1619 rimase vedova e a 20 anni si trovò gravata dei debiti della piccola azienda e coinvolta in alcuni processi.
Costretta dalla situazione, per i successivi dieci anni Maria Guyart, si dedicò all’educazione del figlio e con coraggio prese in mano gli affari aziendali, sbrigandoli con grande responsabilità.
Presa da queste occupazioni, rifiutò le seconde nozze, orientandosi verso una vita di contemplazione nell’attività, che la fa collocare fra le grandi mistiche della Chiesa. Nel 1620 ebbe una “visione del sangue”, che ella chiamò la sua conversione, alle quali seguirono tre visioni trinitarie; l’anno successivo fece il voto di castità, nel contempo un suo cognato Paolo Buisson la invitò ad aiutarlo nel suo lavoro.
Inizialmente s’interessò di sbrigare tutte le faccende di casa, finché nel 1625 le fu affidata l’amministrazione generale dell’impresa di trasporti del cognato. Siamo nel XVII secolo e ci sembra quasi da non credere che una donna di circa 26-27 anni, vedova con un figlio, fosse a capo di aziende sia pure modeste, in un contesto storico sociale che emarginava in genere la donna e poi nel difficile ambiente di un porto fluviale sulla Loira; comunque Maria pur impegnatissima nelle sue multiformi attività, mantenne sempre una stretta visione con Dio, in una vita attiva-contemplativa. Dal 1624 in poi, ebbe varie intense visioni di Cristo, estasi che la facevano sentire perduta in un oceano d’amore; e fu in questo periodo che si fece sempre più struggente in lei, il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio, guidata spiritualmente dal religioso Raimondo di san Bernardo, fogliantino (Cistercensi riformati nel 1577 da Jean de La Barrière, abate di Feuillant, Ordine poi soppresso dalla Rivoluzione Francese).
Indecisa fra le Carmelitane e le Cistercensi riformate (Fogliantine), alla fine scelse le Orsoline di Tours, fra le quali entrò il 21 gennaio 1631; fu accompagnata alla porta del monastero dal figlio, il quale fu affidato alla sorella, dopo aver resistito ad accondiscendere alla decisione della madre, da lui ritenuta troppo grave.
In seguito lui stesso diverrà benedettino e sarà il primo biografo della madre, essendo quello che più di tutti ne aveva conosciuto il misticismo e le virtù.
Maria Guyart, vedova Martin prese il velo il 25 marzo 1631, cambiando il nome in Maria dell’Incarnazione e dopo aver fatto il noviziato, emise la professione religiosa il 25 gennaio 1633. Intanto nel maggio 1631 ebbe la terza visione della Trinità, sentendosi rapire in Essa, ma la sua vita non fu solo visioni ed estasi, perché sentì che Dio l’avvolgeva di tenebre e aridità;
assillata da oscurità spirituali e tentazioni, mantenne ugualmente in quella che i mistici chiamano “la notte dello spirito”, l’unione con Dio, con il dono della comprensione della Sacra Scrittura che ha dell’eccezionale.
Divenne ben presto Maestra delle Novizie; il periodo in cui visse come suora, vide il cattolicesimo impegnato in una fase di rinnovamento; nel 1622 papa Gregorio XV aveva istituito la Congregazione di ‘Propaganda Fide’ per aiutare i tanti missionari che partivano per le terre lontane, specie del Nuovo Mondo americano, e in questa atmosfera Maria maturò ancor di più la sua vocazione missionaria; il suo corpo era nel monastero, ma il suo spirito volava lontano.
Intraprese una corrispondenza con i missionari gesuiti del Canada; nel 1639 si mise in contatto con Madame de la Peltrie, una vedova di Alençon, che intendeva fondare nel Quebec un convento per l’educazione delle bambine indiane.
Appena la vide, Maria dell’Incarnazione riconobbe in lei la persona vista in un suo sogno e il 22 febbraio 1639 lasciò Tours per Parigi, con la compagnia della giovane suora Maria di S. Giuseppe, rimanendovi due mesi per sbrigare i preparativi della fondazione.
Il 4 maggio 1639 partì da Dieppe, insieme a tre agostiniane ospedaliere, imbarcata sulla nave “Saint Joseph” per l’America del Nord, dove sbarcò il 1° agosto 1639. Subito suor Maria si stabilì a Québec e vi costruì un convento e quando questo fu distrutto da un incendio, ne costruì un altro più grande; nel contempo arrivarono altre suore e ben presto fu costretta a scrivere nuove Regole e Costituzioni, adatte alle nuove esperienze ed esigenze.
Senza mai uscire dal convento imparò i dialetti degli indiani Algonchini, Montagnesi e Uroni e per loro scrisse catechismi, grammatiche e dizionari, occupandosi nel contempo dei bambini indiani, ai quali forniva nutrimento, assistenza ed educazione.
Era l’angelo custode dei missionari, che accompagnava con la sua preghiera e tramite la corrispondenza epistolare interessava quanti più poteva, all’ideale e necessità missionarie. In quegli anni dal 1642 al 1649 subirono il martirio in Canada, ben otto missionari gesuiti (Isacco Jogues, ecc.) e Maria dell’Incarnazione, fu invitata visto il pericolo, a ritornare in Francia, ma lei non volle abbandonare il suo “centro” come definiva il Canada; anzi nel maggio del 1653 fu ispirata ad offrirsi in olocausto a Dio per il bene di quella terra.
Continuò intrepidamente ad avere una vita contemplativa e attiva, con semplicità ed equilibrio, finché nel 1669 fu liberata dalla responsabilità di Superiora, a causa delle malferme condizioni di salute, che continuarono ad aggravarsi e il 30 aprile 1672 morì a Québec, lasciando una Comunità di una trentina di suore, dalle quali sarebbero derivate le “Orsoline del Canada”.
Le sue spoglie riposano nell’Oratorio accanto alla Cappella delle Orsoline di Québec; per il suo ruolo di maestra di vita spirituale e di promotrice di opere evangeliche, gode di tale stima nella storia canadese, da essere considerata la ‘madre’ della Chiesa Cattolica del Canada. Madre Maria dell’Incarnazione Guyart fu beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 22 giugno 1980.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria dell’Incarnazione Guyart, pregate per noi.

*San Mariano - Venerato ad Acerenza (30 Aprile)
m. 303
San Mariano, giovane diacono della Chiesa Acheruntina al tempo del santo vescovo Marcello, amico di Laviero, di cui imitò il coraggio della predicazione del Vangelo, subì il martirio nell'anno 303, sotto la terribile persecuzione dell'imperatore Diocleziano.
San Mariano, giovane diacono della Chiesa Acheruntina al tempo del Santo vescovo Marcello, amico di Laviero di cui imitò il coraggio della predicazione del Vangelo, subì il martirio nell'anno 303, sotto la terribile persecuzione dell'imperatore Diocleziano.
La seconda cappella del deambulatorio della Cattedrale di Acerenza, titolata a Santa Maria Assunta e a San Canio patrono della città, è dedicata a San Mariano, martire acheruntino e patrono minore, assieme a San Laviero.
Sotto l'altare si conservano le sue reliquie, ricognite dall'arcivescovo Francesco Zunica nel 1782, e di lui portano il sigillo.
Nella nicchia sopra l'altare si trova la statua lignea di San Mariano, fatta eseguire dall'arcivescovo Giovanni Spilla nel 1613, dopo il ritrovamento delle reliquie, avvenuto il 7 giugno di quell'anno. Dopo la ricognizione delle ossa di San Mariano avvenuta il 13 maggio 1613, il 7 giugno dello stesso anno l'arcivescovo Giovanni Spilla emana un Decreto col quale dispone che le reliquie di San Mariano "siano venerate e ciascuno possa riverirle ed onorarle in quanto appartenenti al gloriosissimo martire e come tale considerato dalla Chiesa da circa 1000 anni, come risulta da antichi documenti dell'Archivio...".
San Mariano, giovane diacono della Chiesa Acheruntina al tempo del Santo vescovo Marcello, amico di Laviero di cui imitò il coraggio della predicazione del Vangelo, subì il martirio a Grumentum (l'odierna Grumento Nova in provincia di Potenza) dove venne decapitato nell'anno 303, sotto la terribile persecuzione dell'imperatore Diocleziano.

(Autore: Pino Pace – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mariano, pregate per noi.

*San Mercuriale di Forlì - Vescovo (30 Aprile)
Martirologio Romano: A Forlì, San Mercuriale, vescovo, che si ritiene abbia istituito la sede episcopale in questa città.
Le più antiche testimonianze su Mercuriale riguardano il suo culto, e precisamente le chiese a lui dedicate.
L'attuale basilica a Forlì, originariamente a tre navate, con tre absidi ed una grande cripta, venne edificata nel 1173-1176 (ed il campanile nel 1180), dopo che un violento incendio, scoppiato il 21 luglio 1173, aveva distrutto la precedente con l'annesso monastero.
L'antica basilica, sulla stessa area benché allora fuori della cinta muraria di Forlì, appare officiata dai Benedettini sin dalle più antiche testimonianze: 8 aprile 893: «monasterio S. Mercurialis posito non longe a civitate Liviensi»; 14 maggio 962: «monasterium San Mercurialis et Grati qui est situs prope dudum civitatem Liviensem» (Fantuzzi, Monumenti Ravennati, VI, pp. 5, 14); luglio 1159: «coenobii Ss. Mercurialis et Grathi quod situm est in territorio liviensi » (S. Marchesi, Supplemento istorico dell'antica città di Forlì, Forlì 1678, pp. 144-45). Dedicate a San Mercuriale sono attestate chiese anche a Ravenna dal 948 (Fantuzzi, II, 252) ed a Pistoia dal 940 (F. Lanzoni, S. Mercuriale nella leggenda e nella storia, in Rivista storico-critica delle Scienze Teologiche, I [1905], p. 494).
Tra il 1050 ed il 1084, dietro insistenze dei fedeli e dello stesso vescovo della città, un anonimo (che in seguito fu identificato con San Pier Damiani, ma che comunque era monaco e non forlivese) ne scrisse la prima Vita, traendone gli elementi da pitture esistenti in quell'antica basilica.
Nello schema ordinario della vita di un presule modello, sono inseriti due episodi caratteristici.
A Rimini un empio giudice (pagano) di nome Tauro schernisce i cristiani ed in particolare irride l'Eucaristia, che per lui non è che un cibo comune da digerirsi come tutti gli altri.
I Santi vescovi della regione, Mercuriale di Forlì, Ruffillo di Forlimpopoli, Leo di Montefeltro, Gaudenzio di Rimini e Geminiano di Modena, pure inorridendo delle affermazioni blasfeme (le quali, si noti, coincidono stranamente con quelle che insegnava Berengario di Tours, nello stesso tempo in cui fu composta questa Vita), perché non venisse meno la fede dei loro cristiani accettarono la sfida di Tauro: tutti insieme consacrarono le sacre specie e le dettero al giudice pagano; costui le inghiottì, ma poi morì dell'ignominiosa morte di Ario.
Il secondo episodio riguarda un immane drago che in quel tempo infestava la zona tra Forlì e Forlimpopoli.
Di comune accordo Mercuriale e Ruffillo si recarono a combatterlo, ponendogli le loro stole attorno alla gola, lo immobilizzarono ed infine lo chiusero in un profondo pozzo dove il drago è rinchiuso tuttora e dove (secondo quanto raccontarono all'anonimo scrittore) tutti gli anni, nel giorno della festa di San Mercuriale, si agita e freme.
Mercuriale morì un 30 aprile, dopo aver rivolto fervide esortazioni al suo popolo a restar saldo nella fede: venne sepolto in un mausoleo, ed in suo onore venne innalzata la chiesa.
Il Lanzoni dimostra che l'autore della Vita ha interpretato malamente le pitture esistenti nella primitiva chiesa di S. Mercuriale: esse infatti, in quattro scene raggruppate in due cicli, non rappresentavano altro che il trionfo del Cristianesimo sopra l'idolatria ed il trionfo dell'ortodossia sopra l'arianesimo.
A noi comunque interessa far notare che, a metà del sec. XI, si pensava che Mercuriale fosse contemporaneo degli altri Santi della regione citati.
Nel 1176, quando si terminò la costruzione della basilica nuova, si operò una traslazione o una ricognizione delle reliquie del santo e si pose nell'arca una lamina plumbea nella quale si affermava che Mercuriale era morto il 30 aprile 156 (lamina che sarà poi ritrovata nelle ricognizioni successive: 1232, 1576, 1902) e in base a questo si insinuava (se non erro) che Mercuriale sarebbe stato il protovescovo di Forlì.
Qualche tempo dopo il 1232, si formò una seconda leggenda su San Mercuriale concretatasi nelle pitture della seconda basilica (anch'esse scomparse).
Ne dipendono: una lamina in piombo dei secc. XIV-XV che testimonia di reliquie che Mercuriale recò dalla Palestina; un passo degli Annales Forolivienses del sec. XV, secondo il quale M. fu vescovo dal 422 al 449, uccise il drago (ma in maniera diversa da come è scritto nel racconto precedente), andò in pellegrinaggio a Gerusalemme tornando con molte ed insigni reliquie, e liberò il popolo di Forlì dalla schiavitù del re di Spagna; un passo delle Cronache di Leone Cobelli (1440-1500 ca.), in cui sono ripetute le notizie in maniera più o meno simile alle fonti precedenti, è attestato, non sappiamo da quale fonte, che l'antica basilica era originariamente dedicata a Santo Stefano, ed è specificato l'ultimo episodio secondo cui Mercuriale si recò in Spagna presso Alarico e, avendo guarito il re goto ammalato, ne ottenne la liberazione di oltre duemila schiavi forlivesi (si ricordi che in Forlì esiste ancor oggi un rione chiamato, fin dal sec. IX, col nome di «Schiavonia»).
Più tardi ancora (sec. XVII) gli scrittori forlivesi si trovarono di fronte ad un'altra difficoltà, accordare, cioè, le tradizioni locali con quelle di Rimini che ritenevano tutto il gruppo dei santi vescovi della zona (Mercuriale, Ruffillo, Gaudenzio, Geminiano ed inoltre Leo e Marino) presenti al concilio di Rimini del 359.
Alcuni modificarono nomi di persone e di luoghi, mutarono Alarico in Atanarico, e ridussero il pontificato di Mercuriale agli anni 359-406; altri invece supposero che vi fossero stati a Forlì due o anche tre vescovi di nome Mercuriale, che avrebbero pontificato rispettivamente negli anni 130-156, 359-406 e 442-449.
Il Lanzoni ha fatto giustizia di tutte queste leggende dimostrandone le varie assurdità: egli ritiene Mercuriale vescovo del sec. IV, forse il protovescovo di Forlì ed il 30 aprile suo dies natalis o celebrazione di una sua traslazione dal cimitero adiacente alla basilica antica all'interno di questa.
Ho già esposto in altra sede la mia opinione che Mercuriale sia il costruttore della basilica che fu la più antica cattedrale di Forlì; per cui anche la data del 30 aprile. potrebbe essere in relazione con questa (giorno della consacrazione). Del resto, anche la data della consacrazione della cattedrale di Ravenna è stata ritenuta data della morte del suo costruttore Ursus.

(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mercuriale di Forlì, pregate per noi.

*Beata Paolina Von Mallinckrodt - Fondatrice (30 Aprile)
Minden (Westfalia), 3 giugno 1817 – Paderborn (Germania), 30 aprile 1881
Martirologio Romano:
A Paderborn in Germania, Beata Paolina von Mallinckrodt, vergine, che fondò le Suore della Carità Cristiana, dedicandosi all’istruzione dei fanciulli poveri e ciechi e all’assistenza ai malati e ai bisognosi.
Primogenita di quattro figli, Paolina di Mallinckrodt, nacque a Minden (Westfalia) in Germania, il 3 giugno 1817; il padre di fede protestante, discendeva da una antica e nobile famiglia di Dortmund e aveva ereditato dai suoi antenati, la fedeltà al dovere, l’integrità e la rettitudine; la madre invece apparteneva ad una nobile famiglia cattolica di Paderborn.
La famiglia, seguendo gli impegni di lavoro del padre, si trasferì nel 1826 ad Aquisgrana, dove la vita sociale e specialmente cattolica, era più intensa di Minden.
Dal 1839 la famiglia si trasferì a Paderborn nella Westfalia, qui Paolina visse dedicandosi con alcune amiche all’assistenza di bambini, vecchi, malati poveri e a questa attività, si aggiunse più tardi l’azione pedagogica; dopo l’ennesimo trasferimento della famiglia a Boeddeken - Paderborn, si dedicò sempre più ai bambini poveri e dal 1842 anche ai bambini ciechi, per i quali, fino a quel momento nella regione, non si era mai fatto niente per loro.
Dopo la morte del padre nel 1842, Paolina volle più intensamente dedicarsi ai bambini ciechi, contattando alcune Istituzioni religiose, che fossero disposte ad interessarsene, ma non ottenne successo.
Allora inaspettatamente le giunse il consiglio del vescovo ausiliare di Colonia, al quale si era confidata, di fondare lei stessa una Istituzione dedita a questo scopo; Paolina scrisse nella sua Autobiografia: “Completamente inaspettato mi giunse questo consiglio, ma nello stesso tempo ero pronta a seguirlo e nel più intimo dell’animo, sentivo che era buono e gradito a Dio”.
Si era nell’anno 1846, ma tante difficoltà si frapposero alla realizzazione del progetto, anche quando tutto sembrava fattibile; finalmente dopo aver ricevuto i permessi del vescovo di Paderborn e del Governo, il 21 agosto 1849 madre Paolina von Mallinckrodt e le sue tre compagne ricevettero l’abito religioso dalle mani del vescovo, prendendo il nome di “Suore della Carità Cristiana”.
Madre Paolina per l’impegno che profuse nella sua Congregazione a favore dei più deboli, venne considerata come tipica donna cattolica del suo Paese - al pari del fratello Ermanno di Mallinckrodt, politico cattolico - soprannominato ‘l’onestà westfalica’.
La forza interiore che seppe infondere nella sua Comunità, permise alla stessa, di poter sopravvivere felicemente alla tempesta del ‘Kulturkampf’ in Germania, che a cominciare dal 1871, ad opera di Bismarck, intraprese una lotta, contro l’influenza politica e culturale della Chiesa Cattolica in Germania.
L’Opera di madre Paolina che in 30 anni si era diffusa e ingrandita, contava già 245 suore e una trentina di campi di attività, ma con queste leggi restrittive delle iniziative cattoliche, fu quasi interamente distrutta; la Casa madre sciolta dal governo prussiano, fu trasferita nel 1876 a Mont-St-Guibert nel Belgio, dove operò fino al 1887.
Le suore si sparsero nel Liechtenstein, in Boemia, in Italia; nel 1873 Paolina, si recò in America negli Stati Uniti, per nuove fondazioni e nel 1874 mandò le prime suore in Cile.
Negli anni 1879 e 1880 visitò tutte le sue suore nelle due Americhe ed in Europa, poco dopo il suo ritorno a Paderborn, si ammalò gravemente e morì il 30 aprile 1881.
Alla sua morte la Congregazione contava 492 suore e 45 Case nei due Continenti; nel 1951 le religiose erano 2300 e nel 1960, 2654, sparse ormai in tutti Continenti, impegnate allora come oggi, nella formazione ed educazione dei giovani, come nel servizio pastorale e caritativo.
Nella prima stesura delle Costituzioni, scriveva: “La Congregazione si è messa alla disposizione del signor vescovo per servirla, intimamente unite alla Santa Chiesa, con tutte le sue forze e per essere e rimanere un tralcio vivo e fruttuoso alla sua vite”.
L’immagine della vite e dei tralci, è rimasta una componente essenziale nella Costituzione delle “Suore della Carità Cristiana”, che nel 1999 celebrarono i 150 anni della loro fondazione, che con l’aiuto di Dio ha superato tanti momenti difficili e persecutori, nei periodi storici succedutasi; durante il Nazionalsocialismo, la Casa Madre di Paderborn fu completamente distrutta.
L’inizio del processo apostolico per la beatificazione di madre Paolina von Mallinckrodt, si ebbe il 29 maggio 1958; è stata poi beatificata da Papa Giovanni Paolo II, il 14 aprile 1985.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Da un padre protestante convinto e una madre fervente cattolica, nasce lei, primogenita di quattro figli. La diversa confessione religiosa dei genitori sarà la causa di un dolore segreto che l’accompagnerà sempre, senza tuttavia farle perdere la serenità e l’amore per entrambi.
Mamma la fornisce una solida educazione cattolica e insieme a papà cerca di garantire, a lei
come agli altri figli, un’ottima educazione: alla famiglia non mancano infatti i beni economici necessari a scegliere le migliore scuole e i più valenti insegnanti privati. Paolina ha intelligenza viva e facilità di apprendimento e così non delude né genitori né insegnanti. Non li contraddice neppure quando la spingono a prendere parte alla vita di società, alle passeggiate, alle gite e ai viaggi, anche se sente di essere chiamata ad altro.
Mamma muore di tifo ed è Paolina, 17 anni appena, ad assisterla fino alla fine. Rimane lei solo a fianco di papà e mentre lo segue nei suoi vari spostamenti di potente uomo d’affari trova il tempo, ovunque va a stabilirsi, di interessarsi dei poveri, dei malati, dei più sfortunati. Sembra sia, questa, una sua specifica inclinazione che la famiglia rispetta e, per certi versi, addirittura favorisce.
Nel variegato mondo di miseria e di sofferenza che le ruota attorno, Paolina individua nei piccoli ciechi, all’epoca i più trascurati e indifesi, il suo specifico campo di apostolato. Come tutti, attraversa anche lei un periodo critico, fatto di tormento, di scrupoli, di paure ed incertezze, ma alla fine torna la pace, anche perché si è abituata a gettare in Dio ogni suo affanno, a pregare e a fare la comunione ogni giorno.
Compie fino alla fine il suo dovere di figlia e solo dopo la morte di papà si mette in ricerca di un istituto religioso che condivida la sua ansia e il suo desiderio di venire in aiuto ai bambini ciechi, ma sembra non trovarlo, nonostante sia in contatto con svariate congregazioni.
É il vescovo ausiliare di Colonia a suggerirle di fondare lei una congregazione che abbia questo specifico carisma e per Paolina è un consiglio “completamente inaspettato”. É sulla soglia dei trent’anni. e da parecchio si è abituata a lasciarsi rischiarare l’anima da una speciale “grazia di fede” che le fa leggere la volontà di Dio negli avvenimenti e nelle persone che la circondano.
Così è pronta a seguire il consiglio del vescovo, perché sente che “è buono e gradito a Dio” e dà vita alle “Suore della Carità Cristiana”, che, secondo il suo desiderio, devono occuparsi dei piccoli ciechi, senza chiudere gli occhi sugli altri bisognosi né dimenticare l’educazione dei giovani. La Congregazione è messa in crisi dalle leggi del Kulturkampf, attraversa mille difficoltà e tante persecuzioni e restrizioni, ma sopravvive grazie alla forza e all’esempio di Madre Paolina, che invita le suore a continuare a cercare Dio nel fratello bisognoso ed a restare ancorate a Gesù come il tralcio alla vite. Si spegne serenamente il 30 aprile 1881, mentre le sue suore si diffondono in tutti continenti e sono oggi più di 2600. Madre Paolina von Mallinckrodt è stata proclamata Beata da Giovanni Paolo II° nel 1985.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Paolina Von Mallinckrodt, pregate per noi.

*Beato Pietro - Diacono (Levita) (30 Aprile)

m. 30 aprile 605
Etimologia:
Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino
Martirologio Romano: A Roma, Beato Pietro Levita, che, monaco sul Celio, per mandato del Papa San Gregorio Magno, amministrò con saggezza il patrimonio della Chiesa di Roma e, ordinato diacono, servì con fedeltà il pontefice.
Il B. Pietro Levita (Diacono) nacque nella metà del secolo VI. Secondo una radicata tradizione ed in base ai codici liturgici medievali conservati nell’Archivio Capitolare di Vercelli, apparteneva alla famiglia Bulgaro, feudatari di Vittimulo, dal cui castello ebbe origine l’attuale paese di Salussola (diocesi di Biella).
Quand’era ancora giovane sarebbe andato a Roma per perfezionare gli studi (in realtà però Roma potrebbe essere stata la sua città natale).
La potenza dell’Impero Romano era un lontano ricordo, da due secoli erano cessate le persecuzioni contro i cristiani ma erano numerosi i movimenti eretici e imperversavano le scorribande dei barbari.
Mentre era studente di lettere e filosofia Pietro conobbe il futuro S. Gregorio Magno, monaco secondo la Regola Benedettina, più grande d’età di qualche anno.
Nacque una profonda amicizia e anche Pietro si fece religioso.
Venne nominato cardinale nel 577 da Benedetto I, il termine però non aveva il significato attuale: era cardinale infatti il religioso "incardinato" in una chiesa principale per lo svolgimento di importanti servizi.
Gregorio fu eletto Papa il 3 settembre 590 e tra le sue prime decisioni ci fu quella di inviare Pietro, divenuto suddiacono, in Sicilia come suo Vicario. Nell’isola Gregorio aveva fondato diversi monasteri e il patrimonio della Chiesa era considerevole. La prima lettera del nutrito epistolario del sommo pontefice, che oggi possediamo, fu indirizzata a tutti i vescovi siciliani per presentare il suo Vicario, ne seguirono altre di cui molte indirizzate direttamente a Pietro.
Quando parla di lui le espressioni sono molto lusinghiere, apprendiamo anche che il suo fisico era mingherlino. Nelle lettere, a volte ironiche, si discuteva di problemi pratici: confini di terreni, donazioni, usura, tangenti, assistenza ai poveri, vigilanza sui costumi del clero, costruzione di chiese e affidamento di cariche ecclesiastiche.
Non mancavano rimproveri oppure ordini da eseguire con sollecitudine; dalla Sicilia lo Stato della Chiesa si riforniva di grano, la cui mancanza poteva causare tumulti e sommosse. Pietro stette nell'isola dal 590 al 592, con residenza principale probabilmente a Siracusa.
Ricoprì lo stesso incarico in Campania per un anno, poi si stabilì definitivamente nella capitale e venne nominato Diacono.
Nel Proemio dei Dialoghi di S. Gregorio apprendiamo che, un giorno, questi si ritirò in un luogo solitario, probabilmente il Monastero di S. Andrea al Celio. Rammaricato e stanco dei gravosi impegni di Pastore della Chiesa, ricevette il conforto dell’amico Pietro definito “dilettissimo figlio e carissimo compagno in santo studio”, “singolare amico fin dalla sua prima gioventù”.
Grande doveva essere la saggezza di Pietro per accogliere le confidenze del pontefice.
Divenne suo segretario, collaborando alla stesura delle opere per le quali Gregorio sarà chiamato Magno.
Dagli antichi biografi di Gregorio (il diacono Paolo che scrisse nel secolo VIII e il diacono Giovanni che scrisse invece nel secolo successivo) apprendiamo un episodio molto importante della vita del nostro Beato. Quando Gregorio dettava e Pietro scriveva erano separati da una tenda.
Un giorno Pietro, stupito dalla velocità con cui il papa esponeva i dogmi della dottrina cristiana, guardò oltre la tenda e scoprì che era lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, che suggeriva all’orecchio del pontefice le verità della fede.
Pietro promise che avrebbe mantenuto il segreto a costo della vita.
Il Papa morì il 12 marzo 604 confidando, poco prima, al fedele segretario che avrebbero cercato di distruggere le sue opere. Pietro lo rassicurò che in tutti i modi l'avrebbe impedito.
Il pericolo diventò concreto un anno dopo, durante una sommossa popolare causata dalla carestia.
Si era diffusa la notizia che Gregorio aveva impoverito la Chiesa per la sua eccessiva prodigalità verso i poveri. Pietro difese gli scritti dal rogo rivelando come fossero stati ispirati divinamente: era pronto a giurare sulla Sacra Scrittura, dal pulpito della Basilica Vaticana. Se fosse morto all’istante quella era la verità. In una basilica gremita Pietro mantenne la promessa stramazzando al suolo come colpito da un fulmine, era il 30 aprile 605.
Il glorioso gesto di Pietro salvò un patrimonio che è oggi di tutta la cristianità. Venne sepolto presso il campanile della Basilica, poco distante dal suo grande maestro; acclamato Santo la memoria fu stabilita nel Martirologio al 12 marzo. Il culto si diffuse anche in terra vercellese, insieme al desiderio di possedere le sue reliquie.
Tale desiderio divenne così forte che, due secoli dopo, i suoi resti furono sottratti e misteriosamente condotti nel castello di Salussola. Nonostante la venerazione se ne perse però ogni traccia un secolo dopo, quando il castello cadde in rovina.
Nel 960 una pia donna del luogo, discendente dei Bulgaro, ebbe una visione e l’impulso di cercare le dimenticate spoglie.
L’urna fu ritrovata dopo diversi giorni di lavoro, il Vescovo Ingone dei marchesi d’Ivrea riconobbe le reliquie come autentiche. Si costruì una chiesa per dare loro una degna collocazione e sorse un cenobio benedettino. Intorno all’anno Mille la festa era celebrata in tutta la diocesi, fino al 1575 col Rito Eusebiano.
A Roma il furto delle reliquie fu scoperto da Clemente VIII solo agli inizi del ‘600. Sistemando le reliquie di S. Gregorio Magno nel nuovo altare in S. Pietro a lui dedicato, si voleva ricongiungerle con quelle del fidato segretario. Si indirizzò una lettera al vescovo di Vercelli, Monsignor Ferreri, in data 15 marzo 1600, affinché si facesse chiarezza sulla sottrazione. Il presule piemontese confermò che le reliquie erano venerate a Salussola e convinse il papa a desistere dal suo proposito di riaverle a Roma. Il culto era ormai esteso ai paesi vicini che invocavano Pietro soprattutto durante le pestilenze.
Nel 1782 l’Ordine dei Girolamini, che erano subentrati ai Benedettini nella custodia del monastero del B. Pietro, fu soppresso e la chiesa venne sconsacrata.
Il Vescovo di Biella fece una ricognizione delle ossa che furono trasportate definitivamente nella Parrocchia. Iniziato subito il processo per la conferma del culto “ab immemorabili”, vi lavorò poi anche don Davide Riccardi che diverrà Cardinale Arcivescovo di Torino.
L’approvazione di Pio IX arrivò il 3 maggio 1866 mentre si diffondeva l’errata iconografia del Beato in abiti cardinalizi.
Nel 1945 si costruì un oratorio, vicino al luogo in cui sorgeva l’antico monastero, per sciogliere un voto fatto dai cittadini di Salussola durante la Prima Guerra Mondiale.
La festa patronale si celebra con solennità e grande devozione la prima domenica di maggio, ogni anno giunge da Olcenengo un pellegrinaggio per un voto fatto dalla comunità nel lontano 1484. Per tradizione ultramillenaria a Salussola viene indicato anche il luogo in cui sorgeva la sua casa natale.
Preghiera

Suscita, Signore, nella tua Chiesa
lo spirito di servizio da cui fu animato il diacono Pietro: rinvigoriti dallo stesso spirito,
ci sforziamo di amare ciò che Egli amò
e di tradurre nelle opere il suo insegnamento.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro, pregate per noi.

*San Pio V (Antonio Ghislieri) - Papa (30 Aprile)

Bosco Marengo, Alessandria, 27 gennaio 1504 - Roma, 1 maggio 1572
(Papa dal 17/01/1566 al 01/05/1572)
Antonio Michele Ghislieri, Religioso Domenicano, creato Vescovo e Cardinale, svolse compiti di alta responsabilità nella Chiesa. Divenuto Papa col nome di Pio V, operò per la riforma della Chiesa in ogni settore, sulle linee tracciate dal Concilio tridentino. Pubblicò i nuovi testi del Messale (1570), del Breviario (1568) e del catechismo romano. (Mess. Rom.)
Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)
Emblema: Tiara, Camauro, Bastone Pastorale
Martirologio Romano: San Pio V, papa, che, elevato dall’Ordine dei Predicatori alla cattedra di Pietro, rinnovò, secondo i decreti del Concilio di Trento, con grande pietà e apostolico vigore il culto divino, la dottrina cristiana e la disciplina ecclesistica e promosse la propagazione della fede. Il primo di maggio a Roma si addormentò nel Signore.
(1 maggio: A Roma, anniversario della morte di San Pio V, papa, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).
Tra le più grandi glorie del Piemonte rifulge il grande pontefice San Pio V, al secolo Antonio Michele Ghisleri, nativo di Bosco Marengo (Alessandria) ove vide la luce il 27 gennaio 1504 da una nobile famiglia.
Per sopravvivere fece il pastore, finché all’età di quattordici anni entrò tra i Domenicani di Voghera.
Nel 1519 professò i voti solenni a Vigevano, poi completò gli studi presso l’università di Bologna e nel 1528 ricevette l’ordinazione presbiterale a Genova.
Per ben sedici anni insegnò filosofia e teologia e successivamente fu priore nei conventi di Vigevano e di Alba, rigorosissimo con sé stesso e con i confratelli nell’osservanza religiosa. Nominato poi inquisitore a Como, spiegò ogni sua forza per arrestare le dottrine protestanti che segretamente venivano introdotte in Lombardia.
Il suo intelligente vigore non tardò ad attirare l’attenzione del cardinale Giampietro Carata, che ottenne la sua nomina a commissario generale del Sant’Uffizio. Quando egli divenne papa col nome di Paolo IV, elesse il Ghisleri prima vescovo di Sutri e Nepi, ed in seguito cardinale nel 1557, con l’incarico di inquisitore generale di tutta la cristianità.
Dopo l’elezione di Pio IV, nel 1560 il Cardinal Ghisleri fu nominato vescovo di Mondovì, ma ben presto dovette far ritorno a Roma per occuparsi di otto vescovi francesi accusati di eresia.
Non ebbe rapporti assai cordiali con il nuovo Papa, del quale disapprovava con rude indipendenza l’indirizzo mondano e nepotista. Alla sua morte, proprio Ghisleri fu chiamato a succedergli, per suggerimento di San Carlo Borromeo, nipote del papa defunto.
Il giorno dell’incoronazione, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, in novello Pio V preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma.
Anche da papa continuò a vestire il bianco saio domenicano, a riposare sopra un pagliericcio, a cibarsi di legumi e frutta, dedicando l’intera sua giornata al lavoro e alla preghiera.
Poi V godette subito dell’ammirazione e del rispetto di tutti per la pietà, l’austerità e l’amore per la giustizia. Ritenendo opportuna i cardinali la presenza di un nipote del papa nel collegio dei Principi della Chiesa, convinsero il pontefice a conferire la porpora al domenicano Michele Bonelli, figlio di sua sorella, affinché lo aiutasse nel disbrigo degli affari.
A un figlio di suo fratello concesse l’ingresso nella milizia pontificia, ma lo cacciò dal territorio dello Stato non appena seppe che coltivava illeciti amori.
Colpì inoltre senza pietà gli abusi della corte pontificia, dimezzando le inutili bocche da sfamare e nominando un’apposita commissione per vigilare sulla cultura ed i costumi del clero, che a quel tempo lasciavano molto a desiderare. Nell’attuazione delle disposizioni impartite dal Concilio di Trento fu coadiuvato da Monsignor Niccolò Ornamelo, già braccio destro di San Carlo a Milano. Ai sacerdoti vennero interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici e l’accesso alle taverne.
Ai vescovi fu imposto un previo esame di accertamento circa la loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari e l’erezione delle cosiddette Confraternite di catechismo. Nella curia Pio V organizzò la Penitenzieria, creò la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede, intervenne personalmente alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione e talvolta concesse udienza al popolo per ben dieci ore consecutive.
Le sue maggiori attenzioni erano rivolte ai poveri che ascoltava pazientemente e confortava anche con aiuti pecuniari.
Il Papa era compiaciuto di poter partecipare alle manifestazioni pubbliche della fede nonostante le torture della calcolosi, di far visita agli ospedali, di curare egli stesso i malati e di esortarli
alla rassegnazione.
Suggerì ai Fatebenefratelli di aprire un nuovo ospizio a Roma. Durante la carestia del 1566 e le epidemie che seguirono, fece distribuire ai bisognosi somme considerevoli ed organizzare i servizi sanitari.
Al fine di reperire le ingenti somme necessarie, provvedette a sopprimere qualsiasi spesa superflua, addirittura facendo adattare alla sua statura gli abiti dei suoi predecessori.
Con una simile austerità di vita il papa riuscì nonostante tutto ad imporsi sugli avversari e ad indurre gli altri prelati e dignitari della curia romana ad un maggiore spirito di devozione e penitenza.
Per l’uniformità dell’insegnamento, secondo le indicazioni del Concilio Tridentino, che aveva richiesto fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana, Pio V ne affidò la redazione a tre domenicani e lo pubblicò nel 1566.
L’anno seguente proclamò San Tommaso d’Aquino “Dottore della Chiesa”, obbligando le Università allo studio della Somma Teologica e facendo stampare nel 1570 un’edizione completa e accurata di tutte le opere teologiche del santo.
In campo liturgico si deve alla lungimiranza di questo pontefice la pubblicazione del nuovo Breviario e del nuovo Messale, cioè il celebre rito della Messa ancor oggi conosciuto proprio con il nome di San Pio V.
In ambito musicale inoltre nominò il Palestrina maestro della cappella pontificia.
Suo merito fu anche quello di promuovere l’attività missionaria con l’invio di religiosi nelle “Indie orientali e occidentali” ed un pressante invito agli spagnoli a non scandalizzare gli indigeni nelle loro colonie.
Al fine di contrastare l’immoralità dilagante fra il popolo romano, il pontefice punì l’accattonaggio e la bestemmia, vietò il combattimento di tori ed i festeggiamenti carnevaleschi, espulse da Roma parecchie cortigiane.
Per sottrarre i cattolici alle usure degli ebrei favorì i cosiddetti Monti di Pietà, relegando gli ebrei in appositi quartieri della città.
Pur non avendo una particolare attitudine per l’amministrazione dello stato, non trascurò il benessere dei suoi sudditi costruendo nuove strade ed acquedotti, favorendo l’agricoltura con bonifiche, adeguando le fortezze di difesa e curando assai gli ospedali.
Contemporaneamente al lavoro di pubblica amministrazione, Pio V agiva con grande energia sul fronte della difesa della purezza della fede: sotto il suo pontificio infatti Antonio Paleario e Pietro Carnesecchi, già protonotari apostolici, subirono l’estremo supplizio per aver aderito al protestantesimo e gli Umiliati furono soppressi, poiché a Milano avversavano le riforme operate dal Borromeo.
Inoltre scomunicò e “depose” la regina Elisabetta I d’Inghilterra, rea della morte della cugina Maria Stuart e di aver così aggravato l’oppressione dei cattolici inglesi.
Inviò in Germania come legato pontificio Gian Francesco Commendone, tentando di impedire che l’imperatore Massimiliano II potesse sottrarsi alla giurisdizione della Santa Sede.
Inviò in Francia proprie milizie contro gli Ugonotti tollerati dalla regina Caterina de’ Medici.
Il re spagnolo Filippo II fu esortato da Pio V a reprimere il fanatismo anabattista nei Paesi Bassi. Michele Baio, professore all’Università di Lovanio e precursore del giansenismo, meritò la condanna delle proprie tesi eretiche.
San Pietro Canisio, su incarico papale, confutò le Centurie di Magdeburgo, prima tendenziosa storia ecclesiastica redatta dai protestanti.
Ma l’episodio più celebre della vita di questo grande pontefice, unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo, è sicuramente il suo intervento in favore della battaglia di Lepanto.
Per stornare infatti la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il Santo Papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi, in particolare dopo la presa di Famagosta eroicamente difesa dal veneziano Marcantonio Bragadin nel 1571 che, dopo la resa, fu scuoiato vivo. Alle flotte pontificie si unirono quelle spagnole e veneziane, sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V.
Il fatale scontro con i Turchi, allora all’apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto, durò da mezzodì sino alle cinque pomeridiane e terminò con la vittoria dei cristiani.
Alla stessa ora Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti in estasi con lo sguardo rivolto ad oriente, ed infine esclamò: “Non occupiamoci più di affari.
Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”. A ricordo del felice avvenimento che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa liturgica del Santo Rosario, al 7 ottobre, preghiera alla quale sarebbe stata attribuita dal papa la vittoria.
Il senato veneto infatti fece dipingere la scena della battaglia nella sala delle adunanze con la scritta: “Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!”.
Pio V era però ormai spossato da una malattia, l’ipertrofia prostatica, di cui per pudicizia preferì non essere operato.
Radunati i cardinali attorno al suo letto di morte, rivolse loro alcune raccomandazioni: “Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato!
Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità”. Spirò così il 1° maggio 1572.
La sua salma riposa ancora oggi nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
Papa Clemente X beatificò il suo predecessore cent’anni dopo, il 27 aprile 1672, e solo Clemente XI lo canonizzò poi il 22 maggio 1712. (Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Pontificato
Alla morte di Pio IV, il 7 gennaio 1566, fu, inaspettatamente, eletto Papa, grazie a un accordo tra i cardinali Borromeo e Farnese, e consacrato il giorno del suo compleanno, dieci giorni dopo.
Decisamente intenzionato a restaurare disciplina e moralità a Roma.
Riteneva il sesso come la peggiore espressione del male, infatti fece condannare a morte centinaia di uomini e donne accusati di fornicazione. “ I fornicatori devono tutti bruciare sul rogo, perché la lussuria è la manifestazione del demonio sull'uomo e rende le persone lontane dalla santità“.
Così Pio V ripeteva ogni volta nei tribunali ecclesiastici incoraggiando gli inquisitori a non essere indulgenti con i fornicatori.
Ridusse poi il costo della corte papale, impose l'obbligo di residenza dei vescovi ed asserì l'importanza del cerimoniale.
Egli curò, inoltre, la pubblicazione del catechismo romano, del breviario romano riformato e del messale romano. Rafforzò gli strumenti della Controriforma per combattere l'eresia ed il protestantesimo e diede nuovo impulso all'Inquisizione Romana (condanna a morte per eresia di Pietro Carnesecchi e Aonio Paleario).
Fu rigido oppositore del nepotismo.
Ai numerosi parenti accorsi a Roma con la speranza di qualche privilegio, Pio V disse che un parente del Papa può considerarsi sufficientemente ricco se non conosce l'indigenza.
Siccome i cardinali ritenevano opportuno la presenza di un nipote del papa nel Collegio dei Principi della Chiesa, Pio V si lasciò indurre a dare la porpora a Michele Bonelli, figlio di sua sorella e domenicano pure lui, perché lo aiutasse nel disbrigo degli affari.
Per migliorare la moralità del popolo romano punì l'accattonaggio, la questua, la bestemmia e vietò anche il carnevale ed espulse dalla corte papale le cortigiane.
Nel 1566 promosse la costruzione del convento domenicano di S. Croce e Ognissanti a Bosco
Marengo, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto costituire il centro di una città di nuova fondazione, nonché suo luogo di sepoltura.
Nel 1567 fondò a Pavia una prestigiosa istituzione per studenti meritevoli, il collegio Ghislieri, che tuttora, tramite concorso pubblico, accoglie alcuni tra i migliori studenti dell'Università di Pavia.
Tra le sue Bolle papali, In Coena Domini (1568) ricopre un ruolo primario; tra le altre, quelle che più contribuiscono a definire la linea di condotta del suo pontificato sono: il divieto di questua (febbraio 1567 e gennaio 1570); la condanna di Michel de Bay, professore eretico di Lovanio (1567); la denuncia del dirum nefas (agosto 1568); fu persecutore degli Ebrei, a lui si deve la loro espulsione dai domini ecclesiastici tranne Roma e Ancona (1569); la conferma dei privilegi della Società dei Crociati per la protezione dell'Inquisizione (ottobre 1570); il divieto di discussione sul miracolo dell'Immacolata Concezione (novembre 1570); la soppressione dei Fratres Humiliati accusati di depravazione (febbraio 1571); l'approvazione del nuovo ufficio della Vergine Maria (marzo 1571). Questa dura politica di rafforzamento dell'inquisizione e di persecuzione degli eretici porta ad un accumulo di odio verso Pio V.
Una "pasquinata" prende in giro il gesto di Pio V di mettere un'epigrafe affissa a una latrina:
«Pio V, avendo compassione per tutto ciò che si ha sullo stomaco eresse come opera nobili questo cacatoio»
Niccolò Franco è accusato di esserne l'autore e malgrado sia difeso dal cardinale Giovanni Morone, viene impiccato.
Il poeta Aonio Paleario venne condannato al rogo per aver scritto i seguenti versi contro il Papa:
«Quasi che fosse inverno, brucia cristiani Pio siccome legna per avvezzarsi al fuoco dell'inferno» In politica estera Pio V adottò una linea di difesa dei diritti giurisdizionali della Chiesa, entrando in conflitto con Filippo II di Spagna.
Durante le guerre di religione in Francia, sostenne i cattolici contro gli ugonotti.
Preferì Maria Stuarda a Elisabetta I, che scomunicò nel 1570.
Preoccupato dall'avanzata turca, promosse una lega dei principi cristiani contro i Turchi e con Venezia e Spagna istituì la Lega Santa.
Le forze navali della Lega si scontrarono con la flotta ottomana nelle acque al largo di Lepanto, il 7 ottobre 1571, riportando una vittoria che però non si concretizzò, come il papa avrebbe sperato, nella liberazione del Santo Sepolcro.
Pio V, spossato da ipertrofia prostatica di cui, per pudicizia, non volle essere operato, si spense la sera del 1 maggio 1572, all'età di 68 anni, dopo aver detto ai cardinali radunati attorno al suo letto: “Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato!
Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l'onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità“

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pio V, pregate per noi.

*San Pomponio di Napoli - Vescovo (30 Aprile)

Martirologio Romano: A Napoli, San Pomponio, vescovo, che costruì all’interno della città una chiesa dedicata al Nome di Maria Madre di Dio e durante l’occupazione dei Goti difese dall’eresia ariana il popolo a lui affidato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pomponio di Napoli, pregate per noi.

*San Quirino - Martire, Venerato a Neuss (30 Aprile)

Roma, III sec. ca.
Era un tribuno romano al quale furono affidati i martiri Alessandro, Evenzio e Teodulo, arrestati per ordine dell'imperatore Traiano (53-117); si convertì dopo aver visto i miracoli da loro operati e fu battezzato insieme con la figlia Balbina, in seguito subì egli stesso il martirio, venendo decapitato un 30 marzo di un anno dell'inizio del III secolo; il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Pretestato sulla via Appia.
Un'epigrafe funeraria del secolo V ritrovata nel cimitero, riporta il suo nome. Le reliquie del Santo tribuno martire, ebbero una storia a parte, come del resto quelle di tanti martiri delle catacombe romane, che furono inviate in celebri monasteri e chiese di tutt'Europa.
Secondo un documento redatto a Colonia nel 1485, il suo corpo sarebbe stato donato nel 1050 dal Papa Leone IX ad una badessa di nome Gepa, la quale le trasferì a Neuss sul Reno in Germania.
Ancora oggi le reliquie si venerano nella cattedrale di San Quirino (1206) di questa città. Il suo culto ebbe il maggior picco nel 1471, durante l'assedio che Neuss subì; da questa città il culto si diffuse in tutta la Germania specie a Colonia, in Belgio e in Italia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Pretestato sulla via Appia, San Quirino, martire, che, tribuno, coronò con il martirio la sua testimonianza di fede.
Al 30 aprile il ‘Martyrologium Romanum’ riporta “Item Romae in coemetério Praetextáti via Appia, sancti Quirini mártyris, qui tribúnus confessiónem fídei martyrio coronávit”.
Si tratta di un tribuno romano al quale furono affidati i martiri Alessandro, Evenzio e Teodulo, arrestati per ordine dell’imperatore Traiano (53-117); si convertì dopo aver visto i miracoli da loro operati e fu battezzato insieme con la figlia Balbina, in seguito subì egli stesso il martirio, venendo decapitato un 30 marzo di un anno d’inizio del III secolo; il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Pretestato sulla via Appia.
Un’epigrafe funeraria del secolo V ritrovata nel cimitero, riporta il suo nome, come pure è ricordato fra i sepolti della “spelonca magna” del cimitero di Pretestato dagli “Itinerari” del secolo VII.
A causa di alcuni errori fatti dal Martirologio Geronimiano e trasmessi nei ‘Martirologi’ successivi, la sua celebrazione divenne altalenante fra il 30 marzo e il 30 aprile (data quest’ultima fissata nell’odierna edizione del ‘Martirologio Romano’ a cui bisogna attenersi).
Le reliquie del santo tribuno martire, ebbero una storia a parte, come del resto quelle di tanti martiri delle catacombe romane, che furono inviate in celebri monasteri e chiese di tutt’Europa.
Secondo un documento redatto a Colonia nel 1485, il suo corpo sarebbe stato donato nel 1050 dal Papa Leone IX ad una badessa di nome Gepa (si dice sorella del Papa), la quale le trasferì a Neuss sul Reno in Germania.
Ancora oggi le reliquie si venerano nella cattedrale di San Quirino (1206) di questa città, in cui è venerato come patrono principale il 30 marzo e il 30 aprile.
Il suo culto ebbe il maggior picco nel 1471, durante l’assedio che Neuss subì; da questa città il culto si diffuse in tutta la Germania specie a Colonia, in Belgio e in Italia dove è patrono di Correggio.
A lui sono intitolati pozzi, fonti di acque e una speciale cavalcata “Quirino Ritt”; è invocato contro la peste, vaiolo, gotta; protegge gli animali.
Nell’arte è rappresentato come un cavaliere con lancia, spada, falco e uno scudo a nove punte, alludendo allo stemma della città di Neuss.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Quirino, pregate per noi.

*Beata Rosamunda (30 Aprile)

Rosamunda di Blar, sposa di Giovanni, signore di Vernon, fu madre di Sant’Adiutore al quale dette un’accurata educazione cristiana.
Non fa meraviglia quindi se fu presto onorata come Beata e commemorata al 30 aprile insieme al figlio nelle diocesi di Chartres, Evreux e Rouen.

(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Rosamunda, pregate per noi.

*Santa Sabina di Jouarre - Vergine (30 Aprile)

Santa Sabina è una Vergine di Jouarre.
Su di lei non sappiamo nulla.
Di questa Santa si parla nella Vita di San Ugo di Cluny. In quel testo si riporta che Sabina, monaca di Jouarre, un giorno vide la Vergine Maria, circondata da numerosi santi e accanto a Lei c’era uno scranno bianco vuoto. Una voce gli rivelò che in breve tempo Ugo di Cluny avrebbe occupato quello scranno.
Poco tempo dopo arrivò un messaggero in città con la notizia che San Ugo era appena morto (1109).
Andrea di Saussay nel suo "Martirologium Gallicanum" del 1637, riferisce del culto e della tradizione su questa Santa e ne fissa la sua festa nel giorno 30 aprile.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Sabina di Jouarre, pregate per noi.

*Santa Sofia di Fermo - Vergine e Martire (30 Aprile)

Fermo (Ascoli Piceno), † 250 ca.
Etimologia:
Sofia = sapienza, saggezza, dal greco
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Fermo nelle Marche, Santa Sofia, vergine e martire.
Una cosa è certa, la Chiesa tramite il suo testo ufficiale, il ‘Martirologio Romano’ celebra al 12 aprile le Sante Vissia e Sofia vergini e martiri di Fermo nel Piceno Italia; detto questo, di certo non si sa altro, né della loro vita né del perché sono celebrate insieme.
Per il resto abbiamo qualche notizia sparsa, lo storico Ughelli nella sua “Italia Sacra” vol. II, parlando della diocesi di Fermo (Ascoli Piceno), attesta che il corpo di santa Vissia riposa nella
cattedrale e in effetti nella chiesa metropolitana della città, esistono parecchi reliquiari, fra i quali in un’urna distinta in ebano con ornamenti in metallo dorato di stile barocco, è conservato il capo di santa Vissia martire, stranamente in un’altra urna è pure conservato il capo di Santa Sofia martire.
Questa coincidenza dei due crani, fa supporre che esse furono martirizzate nello stesso tempo, se non insieme e probabilmente decapitate.
Secondo tradizioni locali Sofia e Vissia subirono il martirio verso il 250, sotto l’impero di Decio (249-251) durante la settima persecuzione da lui indetta. Esiste nella cattedrale una lapide che descrive Santa Vissia che nobilita la città natale con il suo martirio; i loro nomi facevano parte di una lista di Santi venerati a Fermo, trasmessa il 5 agosto 1581 da un prelato locale, ad un sacerdote oratoriano e amico di Cesare Baronio, il quale come è risaputo compilò il primo “Martirologio Romano”, e inserì le due Sante vergini e martiri insieme allo stesso giorno del 12 aprile.
Secondo alcuni documenti locali Santa Sofia è stata celebrata anche il 30 aprile; a tutto ciò bisogna aggiungere che alcuni studiosi ritengono Santa Sofia di Fermo, come del resto altre Sofie, come la vedova Sapienza (Sofia) martire, che in Occidente è venerata al 30 settembre insieme alle figlie Fede, Speranza, Carità e il cui culto è diffuso anche in Oriente con i nomi di Sofia, Pistis, Elpis, Agape e ricordate nel culto greco il 1° agosto.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Sofia di Fermo, pregate per noi.

*San Ventura di Spello (30 Aprile)

Ventura è un antico nome di origine latina che significa “il futuro”. Lo spellano Ventura sarebbe appartenuto secondo la tradizione alla famiglia degli Spellucci. Nato sul finire del XII secolo, aderì all’ordine ospedaliero dei Crociferi .
Dopo un periodo di formazione a Roma nel monastero di Fontana di Trevi tornò a Spello (in Umbria) dove fondò una chiesa con ospedale che intitolò a Santa Croce. Trascorse tutta la sua vita in questa chiesa dedicandosi ai poveri e agli ammalati.
Morì a Spello il 30 Aprile di un anno imprecisato (secondo alcune fonti nel XIV secolo) e fu sepolto nella chiesa dove aveva trascorso tutta la sua vita. L’edificio religioso di Santa Croce mutò ben presto l’intitolazione in San Ventura, per i numerosi miracoli operati a favore di quanti si recavano a pregare sulla sua tomba.
Le spoglie del Santo, poste in un’urna di pietra, vennero collocate sotto la mensa d’altare.
Qui tuttora accorrono i malati di ossa, di cui il Santo è ritenuto patrono. All’interno della chiesa di San Ventura a Spello c’è anche un affresco del Santo, opera di un artista attivo sullo scadere del XIV secolo. San Ventura nell’affresco è raffigurato come un vegliardo dalla lunga barba, con grandi occhi e copricapo, con in mano un libro (simbolo di saggezza).
Il Santo è raffigurato anche con una gruccia in mano, attributo di tutti i Santi che in vita si sono dedicati alla cura degli ammalati. Una seconda immagine del Santo, risalente al 1300 si trova nella chiesa di San Francesco a Trevi, sempre in Umbria. Anche qui è ripetuto l’attributo della gruccia. In altre fonti San Ventura è citato come Beato.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ventura di Spello, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (30 Aprile)
*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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